Mio padre la rivoluzione (racconti)

MPLR

Premio Selezione Campiello
Premio Gli Asini
Finalista Premio Napoli

Finalista Premio Bergamo
Finalista Premio Corrado Alvaro – Libero Bigiaretti
Vincitore del Premio Fiction/Non Fiction del Premio Ceppo Racconto

Due parole su Mio padre la rivoluzione, minimum fax, 2017.

È una raccolta di racconti e biografie controfattuali attorno alla storia e al mito della Rivoluzione russa. Ho provato a lavorare con gli strumenti della narrazione, a esporre della storia versioni altre, a esplorarne possibilità non accadute.

Qui i materiali sul libro: recensioni e presentazioni

Qui la rassegna stampa

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Cosa ne hanno scritto

«C’è molto da riflettere da questo eccellente risultato, un “romanzo storico” che colloca Orecchio tra i pochi grandi scrittori di oggi, quelli che oltre a saper scrivere (a fare letteratura) sanno anche studiare, ragionare, capire, confrontarsi, inventare».
Goffredo Fofi, Internazionale

«Una fedeltà, accorata quanto severa, a quella storia che parrebbe sovvertita: città distrutta ma anche ricostruita, una magnifica pagina dopo l’altra. Con pietà pari alla spietatezza, con speranza figlia della disperazione».
Andrea Cortellessa, Tuttolibri/La Stampa

«Uno straordinario racconto del mito politico più pervasivo della contemporaneità. Un personalissimo reportage immaginativo. Una lingua vibrante, ricca degli umori più diversi. Questa rilettura partecipe e insieme straniante ci permette di non monumentalizzare la Rivoluzione ma di assumerla come evento capace di dialogare con il nostro presente e i suoi conflitti».
Filippo La Porta, La Domenica/Il Sole 24 Ore

«La prosa di Orecchio è ricca di metafore e doppifondi borgesiani. I suoi racconti compongono una sorta di polifonico poema della memoria rivoluzionaria».
Helena Janeczek, Il Piccolo

«La maestria e la perizia in termini di ricostruzione storica, di tempi che dissonano rispetto a ciò che furono, è impressionante, per la mania del particolare, il quale è un grande propulsore della narrazione di questo magnifico scrittore».
Giuseppe Genna

«Un libro strabiliante, che conferma il talento dello scrittore e lo colloca definitivamente tra i migliori scrittori contemporanei, non solo italiani».
Marco Mongelli, La Balena Bianca

«Se un narratore potesse essere la storia stessa, non fredda e distante ma calda e presente, a volte fantasiosa, sarebbe la voce narrante di questa riflessione originale sulla rivoluzione del 1917, eredità importante e disgrazia fatale».
Frederika Randall, Internazionale

«La magia di una narrazione felicemente sostenuta da una scrittura ricercata e immaginifica, irruente ed evocativa».
Riccardo De Gennaro, Alias/il Manifesto

«Il senso della complessità della storia è reso proprio dalla coesistenza di fatti e di invenzioni, di verità e di menzogna. Crea una sorta di vertigine precipitare in queste dodici storie».
Cristina Taglietti, La Lettura/Corriere della Sera

«La sensazione, leggendo questi racconti, è che affondino le loro radici, anche lì dove non è esplicitato, in una storia al di fuori del tempo cronologico: la storia della rivoluzione russa come archetipo».
Luca Romano, Huffington Post

«La storia è stata scritta ma Orecchio la racconta, la racconterà, e la grazia, sì, la grazia della sua prosa ci ricorderà che da quella rivoluzione veniamo, da tutte le rivoluzioni che ci hanno preceduto dipendiamo».
Gianni Montieri, Poetarum Silva

«Mio padre la rivoluzione conferma il valore di uno scrittore tra i più interessanti, dotati e seriamente votati al proprio lavoro emersi in Italia negli ultimi anni».
Carlo Mazza Galanti, Linus

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Spiegazione

Guardavo una serie tv. Un personaggio disse Quando assisti alla morte di una persona ne resti contaminato, la sua morte entra dentro di te come un virus, come un bacillo.

Aveva ragione.

Ma porti anche un desiderio assurdo di resurrezione.

Io vorrei che Lev Trockij fosse vivo, perché ho delle domande per lui. Vorrei che Victor Serge fosse vivo, perché ho delle domande per lui. Vorrei che Lenin fosse vivo, perché ho delle domande per lui. Vorrei che fosse vivo il partigiano Kim, perché ho delle domande per lui. Vorrei che Gianni Rodari vivesse, perché ho delle domande per lui. Vorrei che Rosa Luxemburg fosse viva, perché ho delle domande per lei.

Resto qui fermo nella mia coscienza di morte, nella mia ambizione di vita. Non posso esaudire il desiderio assurdo di resurrezione. Allora ho scritto le storie di Mio padre la rivoluzione: almeno lì Trockij è vivo e parla e scrive e si arrabbia, ed è vivo Gianni Rodari che viaggia e sogna bambini, è vivo Victor Serge con le sue lettere e le sue denunce, è vivo Lenin col suo cranio enorme mitologico stupefacente.

E scrivendo dicevo alla morte Allontanati un po’, c’è ancora tempo.

[Questa è la parte seriosa:] Narrazione e invenzione + storia = è una delle chiavi offerte al presente per scardinare il passato, e per comprenderlo non logicamente ma con l’uso terapeutico della controfattualità. Mio padre la rivoluzione amplia un percorso già iniziato col mio primo libro, Città distrutte (2012). In quelle pagine il gioco si concretava nell’invenzione delle fonti o nella loro combinazione con documenti e reperti esistenti, così da ritrarre biografie infedeli ispirate da vite reali. La menzogna letteraria simulava il metodo storico e al tempo stesso, anzi proprio per questo, lo tradiva, ma non si allontanava dalla verità intima delle vite raccontate. Qui ho affrontato anche (ma non solo) biografie possibili ma non avverate. Il campo d’indagine resta il Novecento coi suoi mostri politici e le sue peripezie, secolo del quale riesco a occuparmi solo assumendo la postura del tradimento, della finzione, dell’ipotesi e della costruzione mentale.

Perché la Rivoluzione russa? Certo, ricorre il centenario. Ma, se non avessi avuto alle spalle una passione per il tema, sorretta da anni ormai lontani di studio, questo lavoro non l’avrei proprio affrontato.

L’idea era anche di esporre il mito della rivoluzione per quello che è: non verità storica, neppure necessariamente menzogna, a volte bugia ma non sempre, forse un altro genere di verità: quella dell’immaginazione collettiva e della manipolazione che ne fecero le oligarchie.

[Questa è la parte politica:] Non sono comunista, ma sono figlio di comunisti. In genere i comunisti, e i loro figli, e i loro nipoti, hanno conosciuto male la storia del comunismo. Spesso ne hanno appreso una versione ortodossa, canonizzata, falsificata. È una storia lunga. Inizia negli anni trenta del Novecento in Unione Sovietica, quando Stalin decise che era tempo di purghe e normalizzazione anche per gli studi storici, quando si accorse che per controllare i comunisti in patria e all’estero bisognava controllare anche la storia del comunismo, emanarne una sola versione, un verbo con le sue liturgie e relative scomuniche. Così finì il tempo degli anabattisti.

Ora siamo più liberi di raccontarcela, quindi facciamolo.

Ora però sono anche figlio di una morte. Il 1989 mi ha messo al mondo politicamente. Il 1989 è l’anno che ha ucciso il comunismo. Da allora, a sinistra, qualcosa di nuovo avrebbe potuto nascere, invece ho visto soltanto aborti.

Torna l’assurda smania di resurrezione.

Il 1917, che è morto e sepolto, diceva Io voglio uguaglianza e giustizia sociale. Il 1989, interrato anche lui, disse Io voglio la libertà. Mi piacerebbe che il 2017 dicesse Voglio uguaglianza, giustizia sociale e libertà. Ma so che non lo dirà.

Allora, ogni nuovo anno, io chiederò Sei tu l’anno che pretenderà libertà e giustizia sociale?, o sarai l’ennesimo aborto?

Continuerò a chiederlo, e trascinerò il mio assurdo desiderio di resurrezione.