Premio Mondello Opera Italiana e SuperMondello
Finalista Premio Napoli e Premio Volponi.
Materiali sul libro: presentazioni, video, premi, recensioni
CONTENUTO E CRITICA
Un regista sovietico esule in Italia è artefice e vittima della propria solitudine. Una ragazza argentina, negli anni della dittatura, mostra ai militari di Buenos Aires un coraggio impulsivo e ingenuo. Un giornalista siciliano matura attraverso il fascismo e una democrazia imperfetta. Un bracciante molisano insegue la redenzione dalla povertà della sua terra. Un diplomatico prussiano trova il proprio destino di filosofo mentre Roma cade, presa dalle truppe di Napoleone. Una poetessa infelice prova a riscattarsi in una scrittura frammentaria ed emotiva. In Città distrutte rielaboro il genere biografico mescolandolo alla finzione. I ritratti si basano su fonti edite, materiali d’archivio, fatti documentati, ma li rispettano fino a un limite preciso, varcato il quale il lettore è testimone di un tradimento: la ricostruzione saggistica cede il passo all’invenzione.
«“Città distrutte. Sei biografie infedeli” è prima di tutto un libro sorprendente: per l’idea costruttiva, per il tono della voce narrante, per lo stile della prosa, infine per essere l’esordio tardivo di uno scrittore di 43 anni nel quale coabitano tratti raffinati e grezzi, gli uni e gli altri ravvivati da un talento sovrabbondante. Sono sei biografie apocrife, reinventate di sana pianta – ed è una pianta frondosissima – a partire da lunghe immersioni di autore onnisciente in archivi e in atmosfere di ampia inarcatura storico-geografica, dall’Argentina dei desaparecidos all’Unione Sovietica del socialismo reale, dal Molise delle prime battaglie sindacali alla Roma papalina di primo Ottocento. Con le sue frasi febbrili e stantuffanti, con le sue sventagliate di metafore, la scrittura frastagliata di Davide Orecchio, onnidirezionale come un volo di zanzara, dà vita a una vasta reticolatura d’invenzioni narrative e accensioni liriche. Éster Terracina e Valentin Rakar (per citare soltanto due tra i sei biografati) daranno ai lettori ciò che essi cercano in ogni racconto, la resa felice al ritmo di una storia.»
(Massimo Onofri, Domenico Scarpa, Emanuele Trevi – giurati del comitato di selezione, Premio Mondello 2012, XXXVIII edizione).
«Un libro fondamentale sia per la misura della sua scrittura sia per la precisione di un’ambizione reale, Città distrutte cresce negli anni rivelando le sue qualità di testimonianza viva, ma anche dando una lezione chiara su quale può essere ancora il ruolo della letteratura nella confusa e spesso smemorata società italiana.»
(Giacomo Giossi, Il Manifesto)
«L’esordio di Davide Orecchio ricorda il grande W.G. Sebald nei suoi Gli anelli di Saturno e Gli emigrati.»
(Frederika Randall, Internazionale).
«Il suo stile somiglia a una frana, al gesto bulimico di chi divora il tempo perché ne è ossessionato, e a ogni nuova pagina fa scorrere la bobina sempre più in fretta, mimando l`inadeguatezza della scrittura davanti alla vita.»
(Matteo Marchesini, Il Foglio).
«Il lettore è perennemente in sospensione, la prestazione che gli viene richiesta è una geometria variabile tra l’ansia e l’abbandono. La stessa in cui si aggirano i protagonisti dei racconti. Tema e struttura, visione e artificio si saldano perfettamente. (…) Un lento soccombere a una lotta vana ma non indecorosa, resa in una scrittura di grandi mezzi, innervata di continui cambiamenti di ritmo, pause riflessive e accelerazioni vertiginose, con un materiale metaforico di prim’ordine, mai esornativo, sempre aderente all’oggetto.»
(Daniele Giglioli, Corriere della Sera).
«Non ci sono molti scrittori, oggi in Italia, che scrivono così bene.»
(Giovanni Dozzini, Europa).
«Una scrittura antigenerosa, antipietistica, che non si presta a facili inviti, severa e insieme scorrevole (addirittura colloquiale): ha come un’anima interna, una struttura di ferro che ne regola i ritmi, i toni, i movimenti.»
(Angelo Guglielmi, L’Unità).
«Un libro di solida e insolita compostezza formale, dalla scrittura abilmente scolpita da una ritmica esatta.»
(Angelo Ferracuti, L’Indice).
BIOGRAFIE
Éster Terracina
Amo le parole dei filosofi. Ecco l’occasione per usarle. Patrice Vuillarde li chiama “lacci del coincidente” (Dynamique des abandons, Paris 1983, p. 54). Muovono ogni storia che meriti un posto nel ricordo. Un “invisibile collante” (Id., Règles, Paris 1992, p. 123) o anche una serie di «forze nascoste» simili a «germi» psicostorici (Jakob Daniel Wegelin, Briefe über den Werth der Geschichte, Himburg, Berlin 1783, pp. 127-128) consegnano alle azioni degli esseri umani, apparentemente intrecciate per opera della casualità, un significato che solo noi potremo attribuire. Oppressa dalla disgrazia d’essere accaduta, questa storia inizia così: nessuno pronunci la parola “caso”! Il secolo scorso, l’ultimo giorno del cinquantuno, Ernesto Guevara intraprendeva il suo viaggio mentre in un appartamento di Once, quartiere centrale di Buenos Aires, Éster Terracina s’alza da un cuscino di velluto e muove i primi passi……
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Eschilo Licursi
Nasce e muore d’autunno. In là con gli anni lo chiamano zio che spetta a chi è anziano ma non tragga in errore, lo deve al rispetto. Il Catalogo dei molisani illustri lo mostra nelle vie del centro “sempre attorniato dalle persone che chiedono o ringraziano”. Poi lontano dal capoluogo la riconoscenza è meno pudica, l’omaggio dei cappelli fa posto all’assedio dei braccianti, quando viaggia per le campagne o sulle colline aspre “l’orda dei necessitanti ne colma l’ascolto” (G. Florio, Ricordi della terra, Isernia 1960, p. 182), come da “infissi in rovina” le suppliche “scivolano tra i denti” sul tragitto di labbra stinte quanto intonaci (ibidem, p. 61), gli stringono l’abito unghie che sembrano fossili e indignate al che lui prende appunti e giura che risolverà, altrimenti lo lascerebbero andare? È famoso. Questo lo porterà a Roma, dove non fece nulla se non morire. Il più tragico degli atti mancati, la morte invece del compimento..

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Un esilio
Racconterò il figlio, ma devo iniziare dal padre. Tra il venti e il quaranta imperversa nell’est. Ha i suoi che gli sono fedeli. In ogni rapina dimostra una ferocia aumentata dal patronimico nel quale si coglie il suono della predazione e dovuto alla pronuncia vibrante che sulla punta della lingua si trasforma in un ruggito. Y. Rakar: l’accento sull’ultima sillaba come uno sparo o un colpo d’artiglio. Nome spiegato dall’origine slovena di un mucchio di fratelli e sorelle nati dalle parti di Gorizia che poi presero i fagotti per issarli su spalle a loro volta sgomberate da gambe e piedi per un viaggio al di là dei recinti di Maribor, oltre le camelie del lago Balaton, sotto i fianchi promananti ghiaccio e vento dei Carpazi orientali, di città in città dai nomi non ospitali fino all’approdo di Odessa, luogo di commercio, scambi e possibilità – porto dialettico.
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Episodi dalla vita di Pietro Migliorisi
Quando racconterò Pietro Migliorisi? Me lo domando da molto mentre accumulo materiali, fonti edite e inedite, primarie, secondarie e annuso l’epoca come se un archivio ne custodisse gli aromi. Il passato è solo carta? Oggetti impolverati? Bombe inesplose? Camposanti? L’ho osato chiedere a Guillermo Viera durante un seminario tenuto a Roma dall’insigne storico argentino la cui risposta avrei dovuto già conoscere e per questo segue nell’inciso – la tomba di un mondo che ospita uomini e donne, una comunità: cerca i loro risvegli, le domeniche al parco, i sopori –. Ma le questioni non sono finite e allora: è possibile che siano tutti spariti? E tra loro – una nebbia, un sottomarino incagliato – come faccio ad acciuffare Migliorisi? Come sentire cos’erano le sue spalle da giovane, se aveva i capelli soffici e quanto fossero neri, e sapere se piaceva alle donne, se il padre l’amò, se la madre l’amò?

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Betta Rauch
Troppo presa dalla vita ai suoi primi capitoli non s’accorge della guerra né sa chi muore lontano o vicino aiutata dalla madre che le camuffa le bombe da fuochi d’artificio mentre i nazisti sfollano gli ebrei dal ghetto senz’avvertirla. I gappisti e tra loro il suo futuro marito ammazzano fascisti quando a villa Chigi s’innamora delle querce e di alcune rondini che chiama per nome e hanno fatto il nido laggiù (Mimì, Rosina, Giulietta, poi forse c’erano anche nomi maschili ma non li so). Prima d’arrivare su quel prato traslocò due case. Non ebbe mai una stanza per sé ma la divise con la sorella di due anni più anziana, che chiamerò B. Odiava marmo e mattonelle e gira sempre con uno straccio che sistema sotto al sedere dove decide di fermarsi (accanto alla madre che stira, sotto la poltrona dove il padre legge o sonnecchia, dietro al séparé nell’ingresso eccetera). Studiò filosofia, conobbe Parigi, lavorò in un giornale, ebbe un compagno e alcuni amanti, un figlio, adorò la letteratura francese, il cinema francese, le sigarette, il latte caldo e la tartare, fare tardi la notte davanti alla tv o sui libri, scrivere poesie, romanzi e riflessioni in cornici narrative, genere che imparò da Proust e portò a livelli notevoli tanto che il critico Beccalossi una volta le disse…
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Kauder a Roma
Ecco la storia di un desiderio. Un uomo non ancora trentenne ha deciso quanto segue: Scriverò libri destinati a sopravvivermi. Prende l’enunciazione pesante come una pietra però sufficientemente piccola da entrare nel suo pugno, e solo all’apparenza per nulla tagliente, e la getta lontano oltre lo stagno dei trent’anni per vederla atterrare sulla riva opposta dove l’attendono decenni sconosciuti. Poi s’avvicina al barcaiolo e chiede qual è il legno più resistente. Quello gli indica una lancia dall’aspetto robusto che lui accetta senza pensarci troppo. Prende il largo, inizia a remare, non solca un oceano ma acque lacustri di un tragitto breve (la sponda opposta è vicina), eppure ogni colpo di remi non lo fa avanzare più di un centimetro, come se navigasse in mezzo al latte condensato. Capisce che ci vorrà del tempo.
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PREMI
SUPERMONDELLO 2012
MONDELLO OPERA ITALIANA 2012
VOLPONI 2012
FINALISTA PREMIO NAPOLI 2012