«Il tempo confluisce nell’uomo e nel suo regno, vi si annida e poi passa, si dilegua, ma l’uomo e il regno restano… Il regno c’è ancora, il suo tempo è passato… L’uomo c’è ancora, il suo tempo è svanito. Ma dove? C’è un uomo che respira, che pensa e piange, ma il suo tempo, quel tempo che apparteneva solo a lui se n’è andato, è volato via, scivolato via. Mentre l’uomo resta.
Non c’è niente di peggio dell’essere figliastri del proprio tempo. Non c’è sorte peggiore di chi vive un tempo non suo. Li riconosci subito: negli uffici del personale, nei comitati di partito, nelle sezioni politiche dell’esercito, nelle redazioni dei giornali, per strada… Il tempo ama soltanto chi ha generato, ama i propri figli, i propri eroi, i propri operai. Mai potrà amare i figli del passato, così come le donne non amano gli eroi di tempi oramai andati e le matrigne non amano i figli altrui.
Così è il tempo: tutto passa, lui resta. Tutto resta, il tempo passa. E com’è lieve e silenzioso il suo fluire. Ieri eri ancora sicuro, allegro, forte, figlio del tempo. Oggi un altro tempo è arrivato, ma tu non lo sai ancora.»
Vasilij Grossman, Vita e destino, traduzione di Claudia Zonghetti, Adelphi.