Una serata con Antoine Volodine

Appunti da una conversazione.

Il 24 maggio a Roma, Industrie Fluviali, abbiamo incontrato lo scrittore francese Antoine Volodine. Abbiamo conversato con lui a proposito del suo ultimo romanzo, Le ragazze Monroe (66thand2nd), e di molti altri libri (ad esempio: Gli animali che amiamo). Luciano Funetta, Anna D’Elia (traduttrice di Volodine) e io. Il terrazzo era gremito; ottimo e meritato, per un grande scrittore.

Mi è sorto il dubbio di una letteratura che va alla morte e, tra i vari temi della conversazione, l’ho sollevato.

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Su «Cassandra a Mogadiscio» di Igiaba Scego

Ho letto, sottolineato, annotato per una decina di giorni Cassandra a Mogadiscio, il nuovo libro di Igiaba Scego. Poi l’ho posato sul mio tavolo. Poi me ne sono andato in giro nelle mie giornate, nel lavoro, nelle perdite di tempo, ma dedicandogli sempre uno scompartimento dei miei pensieri; pensieri che adesso ho provato a organizzare negli appunti che ho pubblicato su Nazione Indiana.

Quando qualcuno evoca la parola “storia”, penso subito a biblioteche e archivi, a carte, documenti e libri, a parole scritte e tramandate: parole come pilastri, carte come mattoni sui quali edificare, appunto, una storia (e una lingua, e uno stile). Ma non sempre si può disporre di un archivio, di un lascito familiare, di un deposito genealogico, di lettere o diari preziosi.

Questo libro – è la mia impressione – risolve con ammirevole sapienza il problema delle fonti, ossia del metodo d’indagine (e l’autrice è lei stessa fonte) e il problema della forma, ossia di un’architettura narrativa che trasmetta la voce della memoria. Poi ci sono molti altri temi altrettanto importanti, ho provato ad accennarli nel pezzo.

Addio Gorby

Perdonatemi. Io su Gorbačëv non riesco a scrivere nulla di più rispetto a quanto ho scritto nel mio romanzo. Fu l’ultima illusione di un mondo che si avviava a morire. Era l’uomo dell’eutanasia. Io – giovane giovane – politicamente gli volevo bene. Ma ero irrilevante. E queste pagine non riguardano me.

La foto di Gorbačëv, in licenza CC, è tratta da Wikipedia e Flickr.

Le parole e la storia

Io, figuriamoci, io, non so come né quando finirà questa terribile guerra, non ho idea di come alleviare le sofferenze che gli ucraini, invasi dai russi, patiscono, sono del tutto impotente, sono impotente persino di fronte alla fragilità di una signora ucraina che, al mio fianco, alla manifestazione per la pace di Roma, non smette di piangere, piange più forte delle parole pronunciate dal palco, più forte degli appelli al diritto e alla pace, più forte degli slogan contro Putin o contro la Nato, piange con tutta la forza che le offre il corpo, piange contro la guerra e contro la storia, eppure è inerme mentre un imbecille, col proprio smartphone, la fotografa.

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