Non so come sia iniziata per me. Forse, da bambino, per avere ascoltato (e poi cantilenato) Louis Armstrong in When the Saints…? Una lunga strada fino a oggi, fino a Joshua Redman e Jazzmeia Horn.
Sul primo disco ascoltato, luci e ombre di fatti accertati e miti domestici. Fatto accertato: fu Coltrane che suona il blues. Quindi doppia scoperta: Jazz+Blues. Il lato B di quel disco convertirebbe il più irriducibile degli infedeli. Il mito: l’aveva lasciato in casa (pensavo) mia sorella, durante uno dei suoi viaggi anni Settanta dentro la casa/via dalla casa. Ma poche sere fa mi ha detto che non sa nulla di questo disco. Fine di un mito. Non ho ereditato il jazz da mia sorella.
Il vero inizio: un film. E che film. Ovviamente un film francese. Di Tavernier. La colonna sonora. Grazie a Herbie Hancock, la scoperta di Thelonius Monk e Chet Baker. È ancora uno dei dischi che ascolto di più. Quella versione di Round Midnight con Bobby McFerrin…
Da allora ho speso i miei risparmi in ogni genere creato da questo Pantheon di dei e semidei. Le svolte elettriche, le chitarre che vogliono suonare come sassofoni, gli assurdi accordi di Jaco Pastorius…
Ma oggi, devo dire, mi sono chetato in uno spazio sonoro (e melodico!) che va da Bill Evans a Duke Ellington. Classicità. Duke Ellington è, per me, oggi, il “più” di tutti. Lo ascolto incantato.
Giusto poche ore fa: Ad Lib on Nippon, ultimo brano della Far East Suite.
Il piano da solo, a tratti drammatico, in minore. Ellington l’accompagna canticchiando (struggente).
Entra il basso.
Entra la batteria.
Entra l’orchestra. Luce meravigliosa di uno spazio colmato da suoni.
Poi tutti se ne vanno. Buio di nuovo.
Resta il piano soltanto.
Ma non è finita.
Entra un clarinetto.
Ritorna, intera, la piccola orchestra.
Non finisce mai. Si è da soli, si è insieme, si è di nuovo da soli, si è di nuovo insieme. Finché non finisce. Volevi dirci questo, amato Duke?
Per me la giornata del Jazz è un po’ tutti i giorni, davvero. Fino alla fine del giorno o per quel che ne resta.