Questo, della rinascita e della resurrezione, per noi bianconeri è il primo scudetto social. Il primo di cui postare foto su bacheche Facebook e Instagram, il primo del quale bloggare e twittare, condividere, premere like, attivare playlist su YouTube, creare hashtag fantasiosi, organizzare incursioni impavide sulle bacheche di amici romanisti, interisti, milanisti eccetera eccetera. Ai tempi delle ultime vittorie il web italiano non era ancora social. Ma adesso sì. E si becca il tripudio dei gobbi.
Non ho mai avuto dubbi che questo momento sarebbe arrivato. E, seppure vivendo con angoscia e tragicamente la retrocessione del 2006 e Calciopoli, considero da tifoso quell’anno di B una delle stagioni più divertenti, esaltanti ed emozionanti che abbia mai vissuto. In ogni piccolo campo d’Italia che testimoniavo dalla mia tv al sabato, ero fiero di Alex Del Piero e degli altri reduci che vincevano e tenevano alta la bandiera. Certo al prezzo della cenere. La cenere di una delle più forti squadre che si siano mai viste negli ultimi decenni, quella che andava da Buffon a Trezeguet passando per Vieira e Ibra. Vedere smembrare quella squadra (a mio parere valorizzata poco da Capello, che poteva e doveva vincere tutto) fu molto peggio che la sottrazione di un paio di scudetti.
Ma, visto com’è andata a finire, non erano ceneri. Erano braci. Nascondevano scintille di fuoco e vita.
Non sono un bianconero precoce. Ho iniziato che avevo 12 anni, molto tardi. Prima il calcio non m’interessava. Ho iniziato quando la Juve vinse il campionato del mondo in Spagna, nel 1982. Perché la nazionale era la Juve più un paio di stranieri. Fu naturale diventare juventino. Anche se a mio padre e mia madre del calcio non fregava nulla. Anche se vivevo a Roma, se i miei compagni di classe erano tutti romanisti negli anni di una Roma fortissima, indomita e antijuventina fino al midollo. Così mi feci juventino contro tutto e tutti. L’anno della sconfitta di Atene (Juve-Amburgo 0-1), per dire, fui accolto in classe da due file di compagni che si erano disposti a corridoio, e mi fecero passare nel mezzo delle forche caudine per sfottermi. Incidenti di percorso di trent’anni di gioie e dolori (l’Heysel), e soprattutto di miti: Platini, Vialli, Del Piero. Di meteore e fiaschi (Zavarov, Rush, Diego…) dentro un’enorme famiglia di calciatori che ricordo tutti con affetto, da Casiraghi a Favero, da Furino a Ravanelli, dal povero Fortunato a Deschamps.
Potrei continuare per ore, ma adesso stacco. Tra poco inizia Juve-Atalanta e poi la festa. Dunque post interruptus e un abbraccio bianconero. Mi dispiace per voi, ma siamo tornati!