Esclusi lutti familiari e privati, la peggior cosa che mi sia capitata nella vita sono le stragi di Capaci e Via D’Amelio. Avevo 23 anni. Non ricordo di aver provato un’angoscia e un dolore maggiori. Esclusi lutti familiari e privati. La morte di quei due giudici e di chi era al loro fianco mi scaraventò per terra dal piedistallo sul quale m’ero ingenuamente avventurato, mi tolse la parola, la fiducia e la speranza.
Nel tempo che va dall’euforia per il crollo del Muro all’illusione rigeneratrice (e forse superficiale) per un ceto dirigente italiano incartapecorito che sull’asse Milano-Roma veniva spazzato via per le sue debolezze affaristiche, mentre sull’asse Roma-Palermo un drappello di giudici mostrava all’Italia che la mafia si può combattere e vincere, mi ero formato una convinzione candida che il Paese si stesse finalmente riscattando e rigenerando.
Questo era il piedistallo: una sensazione di rinascita. Io che ero cresciuto nel decennio degli 80, politicamente privo di ogni aspettativa, buio, anzi vuoto, scolorato e criminale. Perciò tra il 23 maggio 1992 (Capaci) e il 19 luglio 1992 (Via D’Amelio) mi toccò un poco di morire e dalla metamorfosi di stragi e sconfitte venni fuori con una pelle più cinica e callosa di quanto meritassi, di quanto meritassimo tutti.
Non ho più provato illusioni di riscatto o grandi speranze per questo Paese (salvo che nel ’96, l’Ulivo; ma anche lì, un’altra piccola morte). Invece Falcone e Borsellino, coi loro sguardi ironici, coi loro sorrisi nella battaglia, mi bastava testimoniarli camminare per pochi minuti in un TG, o ascoltarli in qualche intervista da Santoro o Costanzo, per sapere che stavo dalla loro parte e che ero, in fondo, un piccolo soldato delle loro retrovie. Un soldatino di latta, ma pur sempre in uniforme.
Le macerie partorite da quegli attentati, con tutto il grigio e polveroso e le carcasse di auto e asfalto mostrate in tv, mi chiusero agli occhi e al cervello un breve pezzo confidente della storia d’Italia, e aprirono l’epoca di incertezze, non verità e regimi politici che si sta chiudendo forse in questi mesi.
Nel frattempo le mafie sono cresciute e hanno viaggiato. Si sono prese un terzo della nostra economia, metà del nostro Paese. Forse di più. Certo, i ragazzi arrivati a Palermo scendono in strada e scandiscono: “Siamo tornati per non dimenticare”, “le vostre idee camminano sulle nostre gambe”. E a Corleone si dà sepoltura a Placido Rizzotto. Non tutto è perduto e allora, comunque vada a finire, cari Falcone e Borsellino: domani nella battaglia penserò a voi.