Una cosa su cui sto lavorando adesso

Uccidono il giovane Wagnitz. Walter dell’Hitlerjugend Wagnitz. Sul pallottoliere di Berlino: la polizia promette, a chi segnali il killer, cinquecento marchi. Sul pallottoliere di Berlino: sbarcano duecento – cinquanta – mila – disoccupati in più. Sulla scena palustre, brandeburghese, antisemita una donna apostrofa l’uomo del diario: «Io non parlo con gli ebrei». Nel teatro xenofobo di regole e binari un poliziotto acciuffa l’uomo del diario: “Come mai mi fermate? Perché sono americano? Perché sono giudeo?” Qualcuno ride tra la divisa e i mostrini. “Non hai il biglietto. Per questo ti fermiamo.” Qualcuno marcia tra il Lustgarten e il Duomo. E, questa sera, nello strudel di ferro, calcestruzzo e cristallo, nell’arena dello Sportpalast, di nuovo i nazisti, nuovamente Goebbels. Il testimone che si testimonia (l’uomo del diario) racconta «spalti gremiti» – così «siedo in alto» – «entra un gruppo vestito di nero» – entra il lutto e nella coreografia si fa avanti «la madre di Wagnitz» – e «tutti si alzano» – «offrono il saluto nazista». Poi tocca a Goebbels che ha la «voce potente» e «trema» e «si contorce». “La tregua è finita. Riprende la lotta. I socialdemocratici hanno tradito la Germania”, ringhia il gerarca cui basta una menzione di Hitler perché la platea si scuota e applauda mentre Goebbels promette: “Noi siamo come i romani. Che combatterono. Anno dopo anno. Finché non distrussero Cartagine”, e il ducetto si chiede e risponde: “Chi è il colpevole della morte di Wagnitz? Gli ebrei”, e la platea spruzza anatemi. Sugli ebrei. E l’uomo del diario prende nota.

Flipper

Un uomo. Uno scrittore. Orfano del mondo, vedovo. Beneficiario di una figlia e di qualche libro diseredato. Un giorno vince il premio Nobel. E quel giorno sua figlia muore. Allora l’uomo propone, non si sa bene a chi: “Restituisco il Nobel, ridatemi mia figlia”. Ma il Nobel gli resta, e la figlia resta morta. Poi l’uomo terrà, in un transatlantico, una conferenza sulla “sincronia del dolore e della gioia, del coltello e della carezza” e le darà per titolo: “Non sono uno scrittore, ma un flipper”.

Un estratto dall’estratto che ho letto alla festa di WATT

Dal suo angolo l’adolescente rincasa nel bambino, nel figlio perpetuo che se parlasse produrrebbe falsetto, lamenti, ma emette giusto uno sguardo sul vecchio mondo che risorge. Il lanificio. Il maglificio. La maquiladora. Il libero scambio. Le dodici ore. La produttività. La famiglia, la collaborazione e il solvente. La sabbiatura dei jeans. La scoloritura. La silicosi. Il marcatempo, il flusso. Lo sversamento e lo scolo. Il trono. La madre. Il padre. Il mare macchiato. Il catrame sulla spiaggia. Il getto perpetuo della realtà. La vita che disbosca la vita fino alla fine del bosco. Non c’è più progetto. Non c’è più tempo se non il tempo passato. Il rigurgito di ieri. Vomitare ieri e cibarsene. Obbedire alla realtà. Aspettare di non essere mai pronti. Acconsentire al potere che sbaglia. Accettare che la vita sia un assassino.

(da WATT 3,14)

watt