Döner

Guardavo nella tv d’una monocamera berlinese il documentario Berlin Stunde Null (Berlino ora zero). Solo bombe sull’ex città di pietra, gli sfollati, le smorfie, i soldati sovietici. Il vicino di casa suonava una chitarra flamenca. Al governo dominava incontrastato il Kebab. Il costituzionale ma di prossimità rionale neppure scalfito dalla minoritaria opposizione di Würstel o aringhe Kebab era davvero un monarca che amava abbrustolirsi e lasciarsi masticare e inghiottire. Del Kebab troppo crudo dicevi «Roh!» e andavi oltre per la Quest, la Recherche del ben cotto democratico al servizio del popolo Döner Kebab. S’è mai visto un dominatore nel cui dominio sta il farsi mangiare? Di solito il dominatore divora. Attorno alla copula del pasto berlinese s’invertivano invece l’oggetto e il soggetto. La città s’apriva ai desideranti Kebab. Il desiderante non aveva vincoli etici. S’organizzavano persino seminari su Trockij nel ben lanciato inchiodato mondiale da Kreuzberg a Coyoacán stenditoio. Il simile a un Mitterand succulento con yogurt e cipolla Döner Kebab consentiva e sussumeva trockismo, bucharinismo, anarchia, la socialdemocrazia di acciughe e Falafel, l’ambientalismo di Moussaka e peperoni. Una ragazza di Bilbao s’addormentava sul futon dopo aver contato il salto di cento Kebab. Clonato per la democrazia del desiderante il Kebab era plurimo, risorgeva dalla masticazione. L’esito dell’ora zero novecentesca era un tollerante e lascivo seppure illuminista sempre consenziente al pasto dei nudi Kebab che girava sul Gyros e «non tramonta mai il sole», mi disse, «sul mio regno. Che è anche il tuo. Basta che lo desideri. Mangiami».