«Le leggi erano assai severe. Se eravamo ancora in età scolastica non avremmo potuto frequentare le scuole. E se fossimo stati insegnanti di ogni ordine e grado, non avremmo potuto più insegnare. Non avremmo potuto fare i giornalisti. Se fossimo stati scrittori o commediografi o musicisti i nostri libri non sarebbero stati stampati, né le commedie rappresentate, né le nostre composizioni eseguite. Anche se avessimo trovato l’anima gemella in una giovane non ebrea, non l‘avremmo potuta sposare. […] Non potevamo possedere un apparecchio radio. Se avessimo avuto il telefono il nostro nome non sarebbe stato incluso nell’elenco degli abbonati, se un nostro caro fosse deceduto non potevamo mettere un necrologio sui giornali per farne partecipi conoscenti e amici…
Non potevamo frequentare (ammesso che ne avessimo i mezzi e la voglia) luoghi di villeggiatura marini o montani. Le proprietà immobiliari sarebbero state amministrate non più dai legittimi titolari ma da una Società governativa (la “Egeli”).
non avremmo potuto nemmeno possedere un allevamento di piccioni viaggiatori
Sulla nostra carta di identità sarebbe stato apposto un timbro con la scritta ben visibile “di razza ebraica”. E poiché le dittature finiscono spesso per cadere nel ridicolo non avremmo potuto nemmeno possedere un allevamento di piccioni viaggiatori. Poveri piccioni amici di sventura “giudaizzati” per legge. (Un amico spiritoso mi disse che potevo però tentare allevando piccioni sedentari possibilmente pigri e svogliati)».
Fausto Coen, Una vita tante vite, 2004, pp. 64-65.