Posso parlare?
– Ti ascolto.
– Vorrei provare a spiegarmi…
– Non sarebbe meglio se prima ammettessi le colpe?
– Forse hai ragione. Allora, vediamo… E’ vero, sono enorme. Ingombro le strade della città. Consumo troppa benzina. Inquino più delle altre auto. Ecco.
– Tutto qui?
– Cos’altro devo dire?
– Non sei esattamente una piuma. Qualche accenno a cosa succede quando corri troppo, quando sbandi, magari quando investi qualcuno?
– E’ vero, sono pericoloso: se l’impatto con un’auto normale può ucciderti, con me muori di sicuro.
– Mi basta sapere che sei consapevole della tua inutilità.
– Inutilità? Non ho detto questo.
– Ma si deduce dalle tue parole. Sei inutile, ammettilo.
– Ok, lo ammetto. In una città come Roma sono inutile.
– E in molti altri posti.
– Ma è qui che vivo! E poi vorrei aggiungere a mia discolpa che costruirmi così non è stata una mia idea. Lo so che è banale, ma è vero anche questo.
– Hai ragione. Non sei responsabile della tua mostruosità. Dobbiamo imputarla al cinismo e all’idiozia di chi ti ha progettato e costruito.
(silenzio)
– A chi appartieni?
– A una donna.
– E per cosa ti usa?
– Mi porta in giro per il quartiere Prati. Quasi tutti i giorni mi lascia in doppia fila a via Settembrini e va a fare la spesa. Compra verdure biologiche, carciofi organici, queste cose qui.
– È bionda, fa l’avvocato quando le va, anche suo marito è avvocato e hanno un figlio.
– Sì! Come fai a saperlo?
– Ho tirato a indovinare.
– Accidenti, sei in gamba. Però il marito non fa l’avvocato. Si occupa di marketing. E anche lei, in realtà, non è un avvocato vero e proprio, pur avendo una laurea in giurisprudenza.