
Quest’immagine scattata a Portland ha fatto il giro del mondo ed è diventata un simbolo di OWS. Non è un caso che arrivi dalla capitale dell’Oregon, dove i movimenti di contestazione hanno una lunga storia alle spalle. Nell’entourage di Bush la chiamavano “la piccola Beirut”.
C’è sempre una ragazza. Poi c’è un uomo in divisa. E tra di loro un’arma, o la minaccia di una violenza. Da quarant’anni il ritratto del movimento comprende questi soggetti. Elizabeth Nichols, la giovane di Portland, ora sta bene. Lo spray al pepe che le è arrivato in bocca in un getto che a vederlo sembra fantascienza, un arcobaleno in miniatura, un esorcismo, l’ha fatta vomitare e lacrimare. Dall’altre parte c’era B11: il poliziotto mascherato, l’autore del gesto che un reporter dell’Oregonian – Randy L. Rasmussen – ha catturato nella foto che ha fatto il giro del mondo.
It went viral, ricostruisce lo stesso Oregonian in un’analisi di tweet, condivisioni, recensioni.

C’è sempre una ragazza. 44 anni fa si chiamava Jan Rose Kasmir. Infilò un fiore sulla baionetta di un fucile, guardando negli occhi il soldato che l’impugnava. Non marciava contro il capitalismo finanziario ma contro la guerra in Vietnam.
Immagine strafamosa – questa di Marc Riboud – e clamorosamente simmetrica rispetto a quella di Portland. Due ragazze: una a destra, l’altra a sinistra. La falange di poliziotti e soldati (sulla sinistra ieri, sulla destra oggi). Tutti ritti in piedi, al massimo della loro verticalità mentre il gesto dialettico è affidato a un fiotto orizzontale: ieri la pacifica offerta di un fiore, oggi l’aggressivo spruzzo di uno spray irritante.
Forse sono i fotoreporter che civettano con l’elemento femminile di una battaglia, sfruttandone la vera o presunta impotenza per rappresentare il campo degli opposti. O forse è proprio questa la realtà: c’è sempre una ragazza pronta a subire una violenza, o a disinnescarla, nei movimenti che scendono in piazza.

Torniamo a Portland, che in quanto a proteste non è una città di primo pelo. Nation Now, un blog del Los Angeles Times, ricorda che le dimostrazioni di Occupy Portland sono solo le ultime di una “lunga tradizione di scontri e turbolenza che risale alla non dimenticata manifestazione contro la guerra in Vietnam del 1970, e anche a prima”. Nell’entourage di Bush II la chiamavano “la piccola Beirut”:
“In reference to the noisy reception Republican candidates traditionally received there. And street clashes between protesters and police have over the years been a regular event at May Day rallies and union organizing rallies even before Vietnam”.
Nation Now linka una ricostruzione del Portland Tribune, che spiega il “problema” dei Repubblicani con questa città:
“But the modern era arguably began on May 11, 1970. That was when Portland police forcibly evicted anti-Vietnam War protesters from the South Park Blocks where they had gathered immediately after the Kent State shootings, May 4, 1970, in Ohio. About 30 protesters were hospitalized and liberals blamed then-Parks Commissioner Frank Ivancie for the violence. The charge helped fuel tavern owner Bud Clark’s successful mayoral campaign against Ivancie in 1984.
(…) By January 2004, Republicans figured out it was best not to hold gatherings downtown or even at the University of Portland. Vice President Dick Cheney appeared at reception at a hotel near the Portland Airport that only drew a handful of demonstrators”.

La consapevolezza politica non cresce senza cultura e non è un caso che Portland sia stata inserita dal National Geographic tra le prime dieci “città letterarie” del mondo. Al settimo posto, per l’esattezza, con la motivazione che segue:
“If it weren’t for a color-coded map, customers might get lost among the stacks at Powell’s City of Books. Spanning an entire city block, it’s the largest new-and-used bookstore in the world and stocks more than a million volumes.
Nearby Heathman Hotel’s ‘Books by Your Bedside’ package includes a personal tour of the lodging place’s 4,000-volume library, made up entirely of signed books by author guests (other package perks are a hardcover tome, a travel reading light, overnight lending privileges, and a donation to a children’s literacy organization).
For more literary immersion, see what’s scheduled at the renowned Portland Arts and Lectures series (September through May). A Portland tradition, it’s one of the biggest lecture events in the country and draws heavyweight headliners like Annie Proulx and Sebastian Junger”.
Con un milione di volumi nuovi e usati negli scaffali, tremila libri usati acquistati ogni giorno e tremila visitatori ogni giorno, Powell’s (una libreria unica al mondo) deve aver dato il suo contributo all’upgrade politico e culturale di Portland.
La capitale dell’Oregon – come gran parte del Pacific Northwest – è una delle città più bianche degli Stati Uniti. La popolazione è ampiamente caucasica e sta crescendo la percentuale di giovani laureati (quindi istruiti; quindi, perlopiù, bianchi) che emigrano quaggiù da altre aree degli Stati Uniti. Questa potrebbe essere un’altra storia. Ma non del tutto. Visto che Occupy Wall street è – come scrivono qui – un movimento partecipato, per la grande maggioranza, da bianchi:
“Occupy Wall Street is a predominantly white movement. Website (occupywallst.org, ndr) visitors identified themselves as 81.2 percent white, 6.8 percent Hispanic, 2.8 percent Asian, and 1.6 percent black. Another 7.6 percent chose ‘other.'”