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Ora la trovano. In un fosso al lato dell’autostrada. Vicino a una città del nord. Nella malerba secca di gennaio. Tra le canne e la cicoria marcia ecco il suo non volto: non occhi, non bocca, non pelle; diranno: “sfigurato”. Sta lì da mesi. Nel corso del tempo (la decomposizione) ha perso la fisionomia. I suoi compagni: un corpo piccolo di donna anziana, capelli bianchi, abiti estivi (una camicia a fiori, pantaloni neri di cotone).

A dicembre la pioggia le accompagna il fango sulle caviglie. A novembre un topo le mangia il naso. A ottobre un corvo le becca le pupille. A settembre un gatto le miagola incontro e intimidito. Ad agosto i Tir spostano il vento e il vento le muove la camicia. A luglio un giovane straniero denuncia che la madre è scomparsa e non parla l’italiano e ha settant’anni e la demenza senile.

Ora sbatte la testa sulla pietra e sviene. Poco fa rotolava nel fosso. Poco prima è scivolata verso il fosso. Ora ha sete, fame, freddo. È una notte di giugno. Lascia l’area di servizio. S’allontana dall’asfalto. Prende uno sterrato. Non vede nulla. Non vede le cose né i ricordi. Pensa: e la spesa? e il cane? e mia madre?

Ora scende dall’auto della polizia stradale, inerme. Le mostrano una tettoia nell’area di servizio. Che si ripari là sotto. L’auto riparte, irresponsabile.

Ora quante luci, quanti rumori! I poliziotti la fermano. Com’è arrivata fin qui? Come si chiama? Da dove viene? Lei non risponde. Non capisce. Sorride. Chiede del pranzo, della cena, della spesa, del cane, della madre. Neanche i poliziotti rispondono, né la capiscono. Stanno zitti. Decidono.

Ora esce di casa. Sulla porta è appeso un foglio con su scritto (in una lingua che non è la nostra): “NON APRIRE. NON USCIRE”. Perché?, si chiede mentre l’apre. Poi le scale, la strada, il sole, il cane, la spesa, mia madre. Nessun gesto si dimentica. È impossibile vivere rinchiusi.

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