Love

Ecco gennaio con la pioggia sui vetri e la ghisa che s’intiepidisce nella dimora. L’inverno è il ripostiglio di piccole cose, gesti minuscoli. A. sostiene un esame. S. compra un vestito e un computer. A Maccarese mangiano frittura di pesce. L’inverno è la teoria della vita, l’ansia e il progetto; è scrittura.

Ma lo sguardo tasto matita esita per via della dubitazione. Lo scrivere tiremmolla nella circospezione della navigazione cerca i fari, scansa gli scogli; lo scrivere pronostico della vita che verrà: s’interroga, interpella, avvista. Creare il teatro futuro per poi spaventarsene, descrivere e pronunciare la realtà che sarà nella speranza che sia un altro l’avveramento, è la pratica dell’inverno dove il mondo delle azioni s’abbuia.

Dopo aver concepito da sé le mosse o i prossimi fatti, la mente grafia si ferma e contempla e nel luminio diagnostica e prescrive cosa figliare, cos’abortire. Il presente e il futuro sono tane di talpa, forse pedane verso le stelle allacciate da connessioni cunicoli che si deve scavare. La mente ingegnere considera la trivella, misura il traforo ma il più delle volte s’arrende alle circostanze del mondo dove gli spiragli si divaricano nella naturalezza e gli orifizi s’aprono per geologia non volontaria e inumana. Nell’inverno c’è lo studio sottovoce di modelli, il calcolo sussurro di eventi probabili, il bisbiglio dell’asserzione: “Io credo – voglio dire – ipotizzo”. C’è quindi un diario che splende, che vive.

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