Nasce dov’è il Mississippi, dov’è sgorgato tanto blues e c’è Clarksdale. Ha in William Moore un patrigno che non si domestica alla terra specchio del contadino Moore William cui non basta la mano realtà, il seme realtà, la stagione, il pendere delle gambe e la schiena verso lo specchio terra lavoro. Riconosciuto dagli occhi degli altri e famoso, William il patrigno di John Lee Hooker Moore è musicista, non suona che il blues sulla chitarra nelle friggitorie, nelle serate danzanti.
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Poi alla casa chitarra cassa ponte sei corde di William e John vengono in visita Blind Lemon Jefferson, Blind Blake e Charlie Patton: e quelli basta che parlino e John Lee Hooker impara il blues; e cantano anche e suonano anche. John Lee, che pure canta nella chiesa di Clarksdale, non ama l’agricoltura futuro sudore mentre la musica che l’attornia, le canzoni che respira: questo sì che gli piace e nell’amore si radica l’Io. Chiede al patrigno: «Insegna la chitarra al tuo figliastro» e Moore William acconsente e gli trasmette il battito.
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Ecco Memphis. John Lee ne ha quattordici. Sta dalla zia. Ha il lavoro di usciere nel cinema di Beale Street. Ecco Cincinnati. Un’altra zia. Un’altra città. Una fabbrica. Ancora un cinema dove apre e chiude le porte.
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Ne ha ventisei quando arriva a Detroit ed è il quarantatré. Nel viverla, vede la vita. Le donne, gli uomini urbani, assillati, infoiati, sfruttati – le note le brevi le crome, gli esseri che fanno il beat della città sessione jam diurna notturna, persino nel sonno, nel sogno. Qui a John Lee Hooker si elettrifica il blues. Attenua il gospel. Alza il volume. Pesta col piede e la corda vocale. Dalla voce rurale escono parole industriali. Sul pilastro agricolo nasce il meticcio: la nuova musica tornio, pressa, bar, altoforno, spiga di grano, foglia di tabacco, ciuffo di cotone, la ragazza che ancheggia, «il tuo amore mi inebria ma non mi paga la spesa», le mani, il solvente, il mastice, il whisky, le carte da gioco, «arrivai in città, andai al club swing di Henry e ho fatto il boogie, ho fatto il boogie boogie», il cappello di feltro, la donna, i soldi, il fumo morte canzone, «bum bum, adesso ti sparo, ti porto a casa e ti uccido», matura John Lee che vocalizza la vita sexy, ruvida, la vita severa. C’è tanto lavoro a Detroit per via della guerra e molti nightclub dove John Lee Hooker suona il suo tachicardico elettrico blues e Lee Sensation s’accorge di lui per offrirgli un contratto, così esplode John Lee con Boogie Chillen e I’m in the Mood. Milioni di copie. Le cifre carburano la vita valzer di John che adesso decolla.
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«Lì ho avuto il mio inizio.
Funzionavo.
E ho spinto.
Da allora non mi fermo.
Più.
Nessuno può fermare.
Il mio blues.»
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FONTI:
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Stanley Dance, Nota a It serves you right to suffer, Impulse 1965.
Rolling Stone, John Lee Hooker. Biography.
Wikipedia