Gatti

All’improvviso ho memoria di gatti. Gatti, gatti, gatti! Certosini, soriani, bastardi, meticci. Il gatto che accarezzavo e faceva puzze di gioia, non fusa. La gatta che alla Balduina scomparve (andava per strada, era bella). La gatta che muore a un mese d’età per un’occlusione, ma prima di morire, quando io dormivo, pensava che io fossi morto e piangeva; la gatta che muore provando a fare la cacca, domenica mattina nella stanzetta, e il veterinario che la riceve da me: «Ma è solo un gatto!» «E lei è solo un veterinario!» Poi andai a Porta Portese per distrarmi, ma pensavo alla gatta e piangevo. L’altra gatta che saltava due metri in alto verso il sonaglio, una gatta miracolo. E il gatto che s’arrampicava sul mio corpo in pochi secondi: dai polpacci ai fianchi al collo, con la forza del graffio. La gatta sul cornicione quassù all’ultimo piano, con l’astuzia strafottente della coda. Mi presti la tua coda? Mi presti i tuoi baffi? Mi presti il tuo sonno sotto al termosifone? La tua abilità di leccarti?

La gatta che morì di un tumore a diciott’anni d’età, e verso la fine ogni suo passo zoppìa sofferenza verso il cibo non mangiato, l’acqua non bevuta, la lettiera non adoperata era un messaggio per me: «Adesso basta, che dici?» E miagolava diverso, miagolava lamenti. Gatti, gatti, gatti! La gatta selvaggia degli anni settanta che amava solo mio padre e mi graffiò un occhio (la gatta spreme sangue dalla mia palpebra, poteva anche orbarmi ma da mio padre accetta carezze, tra i due c’è rispetto, silenzio, distanza vicina). La gatta che mise al mondo sei figli e non li allattò. Erano malati? Erano stranieri? Trovai un cucciolo morto dietro la vasca. Trovai un cucciolo morto nell’ombra del cesso. Un altro in cucina, un altro in soggiorno. Li gettavo nella spazzatura e guardo la gatta: «Cosa fai? Come puoi?»; che tempo tre mesi era di nuovo incinta. Scopava, figliava, viveva. La gatta che lasciammo alla gattara col pollo il latte il rifugio. Il gatto che lasciammo al ristorante in campagna con la corsa gli avanzi l’odore di camino. Quand’ero giovane i gatti vivevano dieci anni, ora ne durano venti. Scopano e scopavano, figliano e figliavano. Sono luminosi e odorosi e all’improvviso ho memoria di gatti.

Nella foto: Il gatto della Casa Museo Anna Achmatova, Pietroburgo.