Comincio a essere un poco ridicolo, con le mie storie di bestie (Paul Léautaud)

Domenica, 25 ottobre 1908

Comincio a essere un poco ridicolo, con le mie storie di bestie. Proprio una vecchia zitella, una madre di gatti e cani. Con tutto il tempo che mi prendono cose del genere! Ma è più forte di me. Le mie giornate sono ossessionate dal pensiero delle bestie che vagano fuori senza nutrimento e senza riparo.

La mia pietà non è come quella di Morisse che riesce a difendersi, a girarsi, ad allontanarsi. Ho una pietà attiva che mi spinge all’opposto, che mi fa muovere, che si trasforma in dovere, in responsabilità.

Una bestia cui ho dato la pappa due o tre volte diventa un obbligo, per la mia consapevolezza dell’abitudine che le ho dato e della delusione che proverebbe se smettessi di averne cura, della stessa privazione. Al Mercure, fuori di casa, camminando, mangiando, lavorando il pensiero delle bestie mi è sempre presente. Piove, e penso che sono senza un tetto. Fa freddo, e le vedo tremare.

«Nulla conta per me come le mie bestie. La mia feliticà è raddoppiata dalla felicità che ho dato loro».

Ci sono degli avanzi sulla tavola e li faccio subito mettere da parte per loro. Guardo Boule sdraiato al caldo in uno scialle, dentro una scatola di cartone, proprio in mezzo alla poltrona, e mi si stringe il cuore all’idea di tanti altri gatti, rannicchiati all’aperto, contro un muro o un albero, sulla terra umida e fredda, e che sarebbero così felici, così felici semplicemente d’un piccolo posto sul mio tappeto. Metto da parte tutti i libri che posso ramazzare al Mercure per rivenderli a profitto delle bestie, per dispensare il ricavato in pappe. L’altro giorno in rue de Seine, da un nuovo venditore di libri vecchi, uno Stendhal e un Balzac illustrati mi facevano proprio gola. Ho perduto la voglia, pensando che era meglio risparmiare per le mie bestie il prezzo richiesto.

Ed è lo stesso per le tentazioni di un altro tipo. Prima, era la poca sicurezza di provar piacere a fermarmi. Ora è l’idea che preferisco impiegare per le bestie il denaro che mi occorrerebbe dispensare.

E vado oltre con le rinunce. Dicevo stasera a Bl… che se continuo così, mi toccherà vivere imbacuccato nelle coperte, tanto patisco il freddo. Lei parlava di comprarmi una vestaglia molto calda. Subito ho pensato alle bestie infelici, dicendomi che avrei preferito impiegare la somma a soccorrerle. Infine passo il mio tempo a scrivere queste annotazioni sulle mie storie d’animali invece di lavorare. Ho ancora più torto perché l’unico modo di essere utile alle bestie vagabonde sarebbe far soldi, se non diventar ricco.

Paul Léautaud, Diario 1893-1956, a cura di Oreste del Buono, Garzanti, Milano 1969, pp. 197-198.

Paul Léautaud (Foto Doisneau-Rapho)

Gatti

All’improvviso ho memoria di gatti. Gatti, gatti, gatti! Certosini, soriani, bastardi, meticci. Il gatto che accarezzavo e faceva puzze di gioia, non fusa. La gatta che alla Balduina scomparve (andava per strada, era bella). La gatta che muore a un mese d’età per un’occlusione, ma prima di morire, quando io dormivo, pensava che io fossi morto e piangeva; la gatta che muore provando a fare la cacca, domenica mattina nella stanzetta, e il veterinario che la riceve da me: «Ma è solo un gatto!» «E lei è solo un veterinario!» Poi andai a Porta Portese per distrarmi, ma pensavo alla gatta e piangevo. L’altra gatta che saltava due metri in alto verso il sonaglio, una gatta miracolo. E il gatto che s’arrampicava sul mio corpo in pochi secondi: dai polpacci ai fianchi al collo, con la forza del graffio. La gatta sul cornicione quassù all’ultimo piano, con l’astuzia strafottente della coda. Mi presti la tua coda? Mi presti i tuoi baffi? Mi presti il tuo sonno sotto al termosifone? La tua abilità di leccarti?

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