Zx Spectrum

È stato il mio primo computer. Era il 1984. Aveva 48k di memoria. I programmi li caricavo da un registratore mono, salvati su cassette a nastro (tipo le TDK). Il registratore era il mio storage esterno. Il monitor, invece, era un vecchio tv Telefunken degli anni 70, in bianco e nero, di quelli che sintonizzavi i canali con la rotellina color argento.

Zx Spectrum era la risposta povera al Commodore 64, che costava molto di più e aveva anche i floppy disc. Un paio di miei compagni di classe possedevano il Commodore, ma io non li invidiavo. Ero molto fiero del mio Zx Spectrum made in England.

Perlopiù ci giocavo a Football manager e a The Hobbit. Mi apriva un mondo di infinite fantasie. Non lo usavo per entrare nella rete della mia scuola per migliorarmi i voti, come faceva Matthew Broderick in uno dei miei film (all’epoca) preferiti: Wargames.

Non usavo in quel modo il mio Zx Spectrum perché non ne ero capace, non ne era capace lo Zx e, anche volendo, i registri scolastici delle mie professoresse – di carta e cartoncino – parlavano un’altra lingua e restavano ben custoditi, inavvicinabili.

Ci giocavo e basta. Una volta a settimana, però, arrivava Leo. Leo era un genio della matematica. Mia madre aveva assunto Leo per “aprirmi la mente”. Leo mi insegnava la teoria degli insiemi e il linguaggio binario del computer. Un giorno, smanettando entusiasticamente sullo Zx, Leo creò un programma che, in base alla tua data di nascita, ti diceva il giorno in cui eri venuto al mondo. Così, grazie a Leo e allo Zx, scopersi d’essere nato di giovedì.

Leo era un mago. Lo adoravo. Ma non capivo niente di quanto mi insegnava. Durante le sue lezioni di insiemistica pensavo all’Hobbit, alla chitarra, agli amici.

Non sono diventato un programmatore, né un matematico. Zx Spectrum era solo un compagno di giochi. Non era adatto alla videoscrittura. I computer per scrivere sarebbero arrivati molti anni dopo.

Da qualche parte in quel tempo lontano venne il momento di decidere cosa studiare all’università. Mia madre, ancora illudendosi che io virassi verso la scienza, mi portò a casa di mio zio, professore di matematica alla Sapienza. Mio zio doveva darmi il consiglio.

Gli chiesi (seduto sul divano, di fronte a lui): “Cosa devo fare all’università?”.

E lui (piuttosto sbrigativo): “E’ semplice. Scegli una facoltà scientifica. Matematica, fisica, chimica, ingegneria, statistica. Una qualsiasi di queste va bene”.

Qualche giorno dopo mi iscrissi a Lettere e Filosofia.