Fantascienza, controllo di classe, Foxconn

Qualche giorno fa Foxconn ha annunciato che sostituirà la sua forza lavoro dalle tendenze suicide con un esercito di robot. Il messaggio sembra essere: “smettete di suicidarvi e di chiedere migliori condizioni di lavoro, e che non vi passi per la testa l’idea di protestare e organizzarvi. Altrimenti vi sostituiremo con le macchine”. Ma stiamo parlando di una fabbrica città con centinaia di migliaia di operai. E i droni costano molto, molto più dei lavoratori cinesi. L’annuncio insomma presenta molte incognite.

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Forse Foxconn ha esaurito il suo potenziale di sfruttamento della forza lavoro, è arrivata al livello zero oltre il quale non restano che macchine o cloni. Eppure l’entroterra cinese offre vasti territori e comunità di “cheap labour” persino più convenienti del sud est. L’annuncio dei robot potrebbe essere solo un bluff. Ma faremmo bene a prenderlo sul serio, almeno sul piano ideologico.

Se il messaggio avesse riguardato una fabbrica nostrana (ad esempio la Fiat) la prima parte sarebbe stata simile (visto che purtroppo hanno iniziato a suicidarsi anche gli ex lavoratori della Fiat) ma la fine sarebbe stata diversa: “… altrimenti vi sostituiremo con operai serbi o polacchi. O con chissà chi”. Un’azienda occidentale può ancora scendere qualche gradino nello sfruttamento della forza lavoro. Una fabbrica cinese inizia a coltivare ipotesi di robotizzazione. Le catene di montaggio del tmc2 e le fabbriche di iPad, sebbene distanti anni luce, smentiscono in modo analogo un’ipotesi realizzata probabilmente solo in Renania e per pochi decenni a Detroit: che la vita e il salario di fabbrica possano essere pienamente umani e consentire all’individuo la soddisfazione dei suoi bisogni materiali e spirituali.

I suicidi alla Foxconn non sono un caso isolato. In Francia si sono tolte la vita decine di persone alla Renault e in France Telecom. In Francia. Non in Cina. Ma l’azienda del Guangdong a differenza delle altre è la prima ad ammettere, seppure solo sulla carta, che la propria organizzazione del lavoro è disumana: “i nostri operai si tolgono la vita. Ergo: le nostre condizioni di lavoro sono disumane. Ergo: dobbiamo rimpiazzare gli uomini con le macchine”. L’ipotesi di migliorare le condizioni di lavoro ovviamente l’hanno scartata. Che i lavoratori del futuro siano robot, androidi, cloni, cyborg o creature geneticamente modificate è irrilevante. Dal punto di vista delle corporation un’opzione vale l’altra, dipenderà dalle opportunità tecnologiche o economiche. Se la Foxconn ha ragione, questi operai del futuro non apparterranno alla razza umana. Perché il lavoro di fabbrica imposto dal capitale in molti casi è incompatibile con la vita degli uomini e la battaglia per riformarlo, migliorarlo, umanizzarlo sembra perduta.

Con l’annuncio della Foxconn la realtà intercetta la fantascienza. Un genere di fantascienza che gli scrittori italiani non hanno mai preso in considerazione. Le distopie di Orwell e Huxley non sono molto distanti dalla prossima, possibile Foxconn. E se i tablet di Apple e Amazon un giorno dovessero essere costruiti da cloni invece che da macchine, avremmo davanti agli occhi “Brave new world”, virgola più, virgola meno.

La science fiction – purtroppo ignorata dalla nostra narrativa, come ha ricordato recentemente Tommaso Pincio nel suo “Hotel a zero stelle” – è stata spesso una letteratura di denuncia politica e sociale più potente di molta arte realista. L’oppressione, lo schiavismo e lo sfruttamento di forza lavoro a basso costo sono tra i suoi temi chiave. Dai cloni donatori di organi di Kazuo Ishiguro (“Never let me go”) agli androidi in rivolta di Philip K. Dick, passando per i personaggi di Margaret Atwood (“The Handmaid’s Tale”), per non parlare del “Pianeta delle scimmie” e di “Matrix”: la lista è lunga e plurisecolare.

Lo scorso primo agosto, durante un dibattito su cloni e controllo di classe nella sci-fi organizzato dalla British Library a Londra, uno dei partecipanti, il professor Edward James, ha posto una domanda sensata: “perché clonare noi stessi?”. Io l’ho intesa in questo senso: perché nella letteratura fantascientifica le creature schiavizzate sono spesso cloni degli uomini? Non sarebbe più semplice per il sistema opprimere esseri morfologicamente non umani, se non mostruosi, così da scongiurare sentimenti di empatia tra padroni e schiavi? Una risposta possibile è che la fantascienza sotto il velo metaforico di mondi e tempi immaginari parla in realtà del nostro mondo e del nostro tempo. E nel nostro mondo gli uomini opprimono i loro simili, non creature immaginarie, riducendoli spesso a poco più di macchinari.

Tornando alla Foxconn: il suo passo verso la robotica (e verso la disoccupazione di massa nel sud est cinese) potrebbe inverare il luogo comune sulla “realtà che supera la fantasia”. Ma non è detto che una simile trasformazione epocale risolverà la malattia mortale della nostra poco umana società, ossia il fatto che sia tuttora divisa tra oppressi e oppressori.

La domanda giusta che il capitale dovrebbe porsi non è: “chi farà il lavoro sporco domani?” (Un operaio cinese? Un robot? Un clone?). Perché finché ci saranno lavori sporchi, ci saranno suicidi e desideri di rivolta. La domanda giusta é: “non sarebbe meglio organizzare le cose in modo da avere solo lavori puliti?”. Il che ci porta dal terreno della fantascienza in quello dell’utopia.