Paolo Di Paolo, sulla “Lettura” del 29 aprile, interviene nel dibattito su scrittori e storia aperto da Daniele Giglioli sulle stesse pagine una settimana prima, e da Goffredo Fofi su “Internazionale”.
… Il giovin scrittore diligente che volesse far tesoro delle voci della critica, rischia d’essere disorientato. Ricapitoliamo. Scrivere del presente è pericoloso, scivoli nella cronaca in un attimo e nemmeno te ne accorgi, vieni «pietrificato» dalla Medusa dell’oggi mostruoso: per vincerla, infatti, serve lo scudo dell’eroe Perseo, che fa riflettere lo sguardo altrove. Sì, certo, ma dove? Non al proprio ombelico. E allora? Per restare in aria di miti, ecco che — deposti gli scudi — viene voglia di infilarsi nei panni di Orfeo e guardare indietro, in cerca di Euridice. Interrogare il passato, recuperare storie sommerse, reinventarle, magari con l’intenzione di riscattare la propria stessa inconsapevolezza e ignoranza, di ripristinare quella «forza di gravità storica» che sembra perennemente in pericolo. È solo una coincidenza?
Notava Daniele Giglioli sulla «Lettura» del 22 aprile che in libreria, negli ultimi mesi, sono arrivati in gran numero romanzi che potremmo definire «storici»: lui ha citato quelli di sfondo bellico; aggiungerei uno dei libri più misteriosi e originali di questa stagione, Città distrutte di Davide Orecchio, storico di formazione e narratore-archeologo; Dove sono di Stefania Scateni, che ha riportato alla luce le «tabacchine» degli anni Cinquanta, le loro voci, la forza d’animo, il dolore; Prima del disincanto di Attilio Wanderlingh, che ha ricomposto pezzi di storia privata e pubblica — gli anni del fermento e del «vogliamo tutto», prima della palude degli Ottanta. E Una storia chiusa di Clara Sereni che, a dispetto del titolo, riapre i conti con la storia italiana recente.