Il più bel magazine che si stampi in Italia ospita una recensione di Città distrutte. La scrive Frederika Randall, corrispondente a Roma per The Nation. Inizia così:
L’esordio di Davide Orecchio ricorda il grande W.G. Sebald nei suoi Gli anelli di Saturno e Gli emigrati. Composto da sei vite parallele in tempi e luoghi diversi, Città distrutte punta sul lato malinconico della storia: la giovane donna vittima della tortura sotto i colonnelli di Buenos Aires che offre la libertà a un’altra; il contadino molisano militante che si isola dal mondo quando muore la moglie; il regista sovietico alla Tarkovskij esiliato nell’ovest; il giornalista messinese prima fascista, poi gappista, poi amante della poesia; la giovane poeta di vita breve che si definisce “una città distrutta”; una versione di Wilhelm von Humboldt diplomatico prussiano a Roma nel primo ottocento. Coraggio, ambizione, solitudine, figli amati e persi, matrimoni spezzati. Sotto queste vite – dure, intense e a volte un po’ misteriose – la Storia fa i suoi movimenti tellurici. La dittatura argentina, il movimento operaio, lo stalinismo, il socialismo e il comunismo in Italia negli anni del fascismo e durante la guerra fredda, il fascismo stesso, le guerre napoleoniche. Basandosi in parte su documenti storici, l’autore, lui stesso uno storico, approfitta della precisione e della concretezza del suo mestiere per inventare storie necessarie e commoventi.