La rappresentazione del lavoro

Visto che malauguratamente, disgraziatamente e infelicemente nessuno più vuole macchine costruite dagli italiani, bulloni forgiati dagli italiani e abiti cuciti dagli italiani, potremmo trasformare tutto questo lavoro che nessuno più desidera (a cominciare dagli italiani che non lo acquistano, non lo pagano, non lo assumono, non lo commissionano) in una rappresentazione del lavoro. Portare il mondo del lavoro italiano sotto la supervisione dell’Ente teatrale italiano, dare al lavoro la forma di una sceneggiatura. La messinscena della costruzione di un’auto, di milioni di auto che nessuno guiderà. La simulazione della tessitura d’un abito che nessuno indosserà. L’allestimento di una catena di montaggio. La scenografia di una fonderia.

La rappresentazione del lavoro avrebbe un valore culturale: trasmettere un passato che a questo modo non muore, antifecondare la desertificazione del territorio. Avrebbe un valore economico: sarebbe comunque un lavoro, un lavoro teatrale. E avrebbe un valore terapeutico: per chi la opera e per chi la testimonia.

Quanto ai manufatti, all’esito della rappresentazione: vedi mai che qualche spettatore inizia a comprarseli e si ricomincia da capo, senza più bisogno di messinscene.