Riporto un estratto da Paolo Giovannetti, Quel babbeo di David Copperfield, in Vittorio Spinazzola (a cura di), Tirature ’13. Le emozioni romanzesche, il Saggiatore / Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, 2013, pp. 21 e 26.
Difficile formarsi, se si è già perfettamente maturi sin da piccoli. Difficile essere realisti, se il reale è solo apparenza oscena. Pratiche letterarie di questo tipo sono contrastate in particolare dalla non fiction di formazione “meticcia” «Timira», e dai personaggi falliti di Davide Orecchio, narratore controfattuale. Da qui un interrogativo: è ai limiti della finzionalità che si collocano – oggi in Italia – le crescite letterarie più convincenti (ed emozionanti)?
(…) Analogamente, le individualità finto-vere (racconti finzionali di personaggi storicamente reali: l’ultimo è addirittura Wilhelm von Humboldt) narrate da Davide Orecchio in «Città distrutte» (Gaffi, 2012) sono manipolate letterariamente entro una strategia espressiva che mima con la massima efficacia la razionalità dell’argomentare storico. Ci sono anche le fonti bibliografiche, le note, i conflitti delle interpretazioni. L’esito è raggelante, le emozioni che proviamo (intense, nondimeno) sono di natura solo disforica. Trame di vite che non possono non fallire, crescite esistenziali che si sgonfiano nel nulla, tempi segnati dalla necessità che infine collassano: l’inquietudine che le biografie di Orecchio comunicano addita una direzione di ricerca che – certo – non è ancora chiara. Sfigurare (finzionalizzare) la realtà con un metodo che si vuole obiettivo (…) un metodo tortuoso, assolutamente improbabile, per risolvere un problema fin troppo evidente. Faute de mieux, tuttavia, proviamoci.