Frammento

– E conosciamo le madri diacroniche; sono eterne, per paradosso, nei nostri server e storage, nelle nostre cartelle azzurre e gialle; abbiamo le immagini delle madri in molti formati, furono recuperate e scansite, interpretate, datate, attribuite, abbiamo il contesto di ogni sorriso, di ogni abito, delle ghirlande, dei calici, di nozze e battesimi; nella tinta seppia o noir le madri s’appoggiano ai tavoli, posano accanto ai vasi di margherite e gladioli, i loro gomiti chiari lambiti da mantili di bisso; le madri sono nelle abitazioni, sui monti, nei campi, sulle spiagge, nelle chiese, nei municipi; per paradosso, eterne in centinaia di stagioni e di luoghi, indimenticabili; per paradosso non le possiamo scalfire, loro inossidabili, ma al richiamarne il backup s’apre un sanguinamento, si ravviva la morte, non solo la vita, delle madri diacroniche; ma noi, che le conosciamo, accettiamo le emorragie che le madri procurano, subiamo l’amore del ricordarle; poi ci estingueremo e dai nostri depositi, dai nostri computer, le madri dovranno trovare nuove vie per emergere, senza il nostro aiuto, orfane del nostro ricordo; infine capita a tutti, infine anche alle madri, di restare soli. –

[Un frammento dal nuovo libro. Non il prossimo, non quello dopo, ma quello dopo ancora (sempre che qualcuno me lo pubblichi).]