Gmail è l’autore dei nostri tempi

Gmail non è un webclient di posta elettronica. Gmail è un romanzo epistolare postmoderno. Chi ha sviluppato le sue architetture cronologiche si autodenuncia come lettore di Foster Wallace o Choderlos de Laclos. Qualsiasi carteggio catalogato non per mittente o destinatario ma per oggetto, diventa presto un racconto. Carteggi condivisi per oggetto con più interlocutori che tu intenzionalmente separi – perché non vuoi che X sappia cosa dici a Y sull’oggetto Z, né che Y sappia cosa scrivi a X sul tema Z – Gmail li accorpa automaticamente in una lenzuolata digitale di suspense.

Nasce il racconto/oggetto Z, dentro il quale trovi tutto quello che hanno scritto X all’insaputa di Y, Y all’insaputa di X, e tu a X e Y. Lo stesso racconto Z si troverà sul Gmail di X e Y, e conterrà quanto tu hai scritto all’uno e all’altro in merito a Z senza sapere cos’hanno scritto X e Y tra di loro o a interlocutori diversi sempre riguardo alla faccenda Z.

Dunque Gmail non è semplicemente un webclient di posta elettronica, ma neppure esattamente un romanzo epistolare postmoderno. Gmail è il vero autore del romanzo epistolare nel quale tu, X e Y siete i personaggi/scriventi. Gmail è un autore epistolare dei nostri tempi, perché non sa cosa scriveranno i suoi personaggi ma assembla una storia senz’averla prevista. Gmail connette le parole dei suoi personaggi rivelando la malizia narratologica di chi conosce E. M. Forster e il suo imperativo (Only connect!). Gmail è un autore dei nostri tempi, perché è un software.

Mentre si scrive, astenersi da Horcynus Orca

Mentre si scrive qualcosa è consigliabile astenersi da letture importanti in lingua italiana che possano avere un’influenza su quel che si scrive, sulla voce, sullo stile, sul lessico. Consiglio rafforzato: prendere Horcynus Orca e collocarlo nel luogo il più distante possibile da dove si scrive, pensa e immagina. Controprova: leggere Horcynus Orca mentre si è alle prese con la propria scrittura horcynusorcizza la scrittura stessa. È dimostrato. È una questione fisica e polare. La calamita è attratta dal polo e non viceversa. Il fiume scorre verso il mare e non viceversa eccetera eccetera. Il risultato sarà una figura patetica, poco più di un omaggio, un plagio minore. Un buon modo per preservarsi è leggere opere importanti in lingua straniera, dove l’influenza lessicale e stilistica risulta minore o quasi nulla per motivi evidenti.

Ricetta della scrittura*

Le mie idee nascono dall’ozio. Meglio se contemplando il mare; spesso nel fare colazione. Ottime idee possono venire al tramonto o anche sotto un cielo stellato, di notte. Buone idee vengono in cucina, alle prese semmai con un soffritto. Cosa conta? Avere la mente sgombra, presa tutt’al più da un compito manuale. Prima de (e indispensabile per) l’idea: leggere gli altri, ascoltare gli altri, osservare gli altri. L’idea è una specie di chicco di mais: devi cuocerla perché cresca in pop corn. A volte arriva camuffata, ossia sotto forma di progetto fuorviante. Ci vuole tempo per (capire di) indirizzarla verso la forma/progetto/libro.

La raccolta del materiale non ha regole, perché dipende dal progetto: ce ne sono che richiedono mesi tra libri e biblioteche. E ce ne sono che richiedono giusto l’idea e la disposizione a raccontarla.

La prima stesura dura almeno due anni. Almeno. Ogni notte si scrive un po’ (perché di giorno si lavora). Col word processor la scrittura, anche in prima fase, è diventata una scultura: ogni frase può essere riletta, riscritta, cresce in piccole e graduali incisioni.  Bisogna sapere dove si va, ma ogni digressione è un mistero, un’incognita, e come riempi quel sapere dove si va è un miracolo (se il lavoro funziona) altrimenti detto pagina. Pagina dopo pagina, in accumulazione. Durante il giorno possono venire spunti (altre idee): nell’era del cloud e della sincronia file si aggiungono facilmente al PROGETTO. Poi, nelle ore piccole, arrivano alla pagina.

Finisce la prima stesura e inizia la prima rilettura e riscrittura. Tagliare, aggiungere, lavorare sullo stile, soprattutto sul lessico. Emarginare le superficialità, per quanto possibile e quanto basta. Ma la memoria dello scritto è ancora fresca, non c’è distanza.

Per il distacco serve tempo, quanto basta. Almeno un anno (meglio due). Mesi per dimenticare cosa si è scritto, separarsene. Vietato riprenderlo in mano. Fare come se non esistesse. Come il vino che fermenta nella botte.

La seconda rilettura e riscrittura è decisiva. Tornare al testo, ma in freschezza. A volte è come leggerlo per la prima volta. Vuol dire che il distacco è servito. Solo adesso si capisce se il testo funziona oppure no, e quanto e come occorre riscriverlo. E se matura in un libro o resta solo un progetto, un’idea abortita. Occorre severità quanto basta, quella che il mondo fuori, altrimenti prodigo di indifferenza, non sempre riserverà al testo. La severità è la forma più alta di generosità.

* Nella mia cucina, in quella degli altri non so.