Krapfen indiani di banane (Edward M. Forster, «Passaggio in India»)

«“Signorina Quested, i dolci del professor Goodbole sono deliziosi”, disse Aziz rabbuiato, perché anche lui avrebbe voluto mandare dei dolci, ma non aveva una moglie che li facesse. “Per voi saranno un vero festino indiano. Io purtroppo, povero come sono, non posso darvi niente”.» Al tè offerto dal professor Fielding ci sono tutti i personaggi che contano in Passaggio in India: la signorina Quested e la signora Moore (appena arrivate in India dall’Inghilterra), il dottor Aziz, indiano musulmano; il bramino Goodbole «cortese ed enigmatico», che, appunto, ha portato dei dolci e che prende il tè «a una certa distanza dai fuoricasta». E poi c’è naturalmente il padrone di casa Cyril Fielding, un professore inglese che simpatizza con gli indiani più che con i compatrioti.

Aziz è irrequieto. Anche lui vorrebbe offrire un tè alle signore. Finisce per invitarle alle grotte di Marabar. Con grande impegno e spiegamento di risorse, Aziz organizza la gita che sarà all’origine di tanti pasticci. Si parte all’alba, si va in treno e poi in elefante. Di tanto in tanto il maggiordomo Mahboud Ali compare di fronte alle due signore con un vassoio di tè e di uova in camicia. Il fatto è che ad Aziz hanno detto «che gli inglesi non smettono mai di mangiare e che avrebbe fatto bene a nutrirli ogni due ore finché non fosse pronto un solido pasto».


AGGIORNAMENTO, 18/11/2022

Torna in libreria Pranzi d’autore, grazie a minimum fax. Una nuova edizione delle ricette letterarie di Oretta Bongarzoni. Di Pranzi d’autore ho scritto così tanto, su questo sito, che non riesco ad aggiungere altro. Sono felice di avere trovato un editore che lo riproponesse. Voglio solo festeggiare.


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KRAPFEN INDIANI DI BANANE

Ingredienti
250 grammi di farina
80 grammi di burro
sale, olio
una tazza di latte cagliato
Ripieno
3-4 banane;
polpa di noce di cocco
2 cucchiaini di zucchero
succo di limone
olio
Preparazione
Impastare la farina con il sale, il burro, il latte cagliato. Lavorare bene poi stendere una sfoglia sottilissima. Tagliare dei tondi con un bicchiere. Preparare il ripieno pestando le banane, la noce di cocco grattugiata, il succo di limone, lo zucchero. Versare un cucchiaio di impasto su ogni tondino, chiudere a mezzaluna e far dorare in olio bollente.

(Da: Oretta BongarzoniPranzi d’autore, Ed. Riuniti 1994, pp. 133-135. Da un po’ di tempo pubblico sul blog le ricette tratte da un vecchio libro di mia madre. Chi vuol sapere perché lo sto facendopuò leggere qui.)

Gmail è l’autore dei nostri tempi

Gmail non è un webclient di posta elettronica. Gmail è un romanzo epistolare postmoderno. Chi ha sviluppato le sue architetture cronologiche si autodenuncia come lettore di Foster Wallace o Choderlos de Laclos. Qualsiasi carteggio catalogato non per mittente o destinatario ma per oggetto, diventa presto un racconto. Carteggi condivisi per oggetto con più interlocutori che tu intenzionalmente separi – perché non vuoi che X sappia cosa dici a Y sull’oggetto Z, né che Y sappia cosa scrivi a X sul tema Z – Gmail li accorpa automaticamente in una lenzuolata digitale di suspense.

Nasce il racconto/oggetto Z, dentro il quale trovi tutto quello che hanno scritto X all’insaputa di Y, Y all’insaputa di X, e tu a X e Y. Lo stesso racconto Z si troverà sul Gmail di X e Y, e conterrà quanto tu hai scritto all’uno e all’altro in merito a Z senza sapere cos’hanno scritto X e Y tra di loro o a interlocutori diversi sempre riguardo alla faccenda Z.

Dunque Gmail non è semplicemente un webclient di posta elettronica, ma neppure esattamente un romanzo epistolare postmoderno. Gmail è il vero autore del romanzo epistolare nel quale tu, X e Y siete i personaggi/scriventi. Gmail è un autore epistolare dei nostri tempi, perché non sa cosa scriveranno i suoi personaggi ma assembla una storia senz’averla prevista. Gmail connette le parole dei suoi personaggi rivelando la malizia narratologica di chi conosce E. M. Forster e il suo imperativo (Only connect!). Gmail è un autore dei nostri tempi, perché è un software.

E.M. Forster: perché smisi di scrivere romanzi

A 45 anni Forster smise di scrivere romanzi, e trascorse i successivi 46 anni della sua vita occupandosi d’altro (saggistica, biografie, giornalismo). In questo stralcio di un’intervista alla BBC (1958), segnalato da Open Culture, l’autore di Passaggio in India e Casa Howard spiega il motivo.

“Penso che uno dei motivi per cui ho smesso di scrivere romanzi (…) è che l’aspetto sociale del mondo è cambiato così tanto. Ero abituato a scrivere del vecchio mondo scomparso, con le sue case e la sua vita familiare e la sua pace relativa. Tutto questo è andato. E anche se posso riflettere al riguardo, non posso scriverne in forma narrativa.”