Ho espresso il desiderio di entrare nelle avventure di Poirot. Quello interpretato da David Suchet; gli altri – chi è venuto e chi verrà – per me non esistono. Entrarci non come attore ma come personaggio. Andare a vivere nella serie di Poirot. Cenare al suo fianco nei migliori ristoranti di Londra, fumare un sigaro assieme a Hercule e Hastings davanti al caminetto, rincuorare pallide duchesse disperate, risolvere enigmi e smascherare assassini in un eterno presente non minacciato da guerra né vecchiaia né morte.
Dal momento che la fiction singhiozza, ho deciso di esaudirmi da me. Da oggi mi si può rintracciare a Whitehaven Mansions. Sono il nuovo vicino di Hercule. Quando la porta di casa Poirot si apre, basta sbirciare un po’ più in là dell’atrio per notare una soglia dirimpetto. E’ l’ingresso del mio appartamento: 100 metri quadri allo stesso piano di Poirot. Piano alto. Nobile.
Mi sono trasferito da poco. La situazione politica italiana e un’inaspettata eredità mi hanno convinto a lasciare il mio paese ormai inabissato nella dittatura fascista. Sono un esule. Un intellettuale, forse. Ma troppo pigro e inoperoso per esserlo fino in fondo. Un Oblomov in salsa prima romana e adesso londinese. In Italia collaboravo con riviste e giornali, nulla di importante. Tra pochi mesi uscirà il mio primo romanzo per un piccolo editore transfuga a Parigi (dove, per inciso, vive mia moglie che prima o poi mi raggiungerà). Tiratura: 200 copie.
Ma tutto questo non importa. Quello che conta è che sono qui, accanto a Poirot. Un certo acume e la capacità di analisi fanno di me il vicino perfetto. Fornirò a Poirot quell’ingrediente in più, un booster per scalare la marcia ai suoi casi. Un pizzico di sale di per sé è insignificante, ma se lo aggiungi a una minestra insipida il suo valore diventa inestimabile. Io, per Poirot, sarò il sale. Una battuta al momento opportuno. Un consiglio tempestivo. E le sue indagini prenderanno la piega giusta. Ovviamente non ho il genio di Poirot. Ma neanche la stolidità di Hastings, né l’obbedienza remissiva di Miss Lemon. Non mi si vedrà moltissimo ma ci sarò, sempre, anche senza apparire. Perché vivo lì. Dove altro potrei andare?
Con me ho portato pochi oggetti, tra i quali il ricordo di una notte e dello spumante che l’innaffiò.
La mia scoppola, la mia cravatta preferita.
E il mio inseparabile blocco note con gli anelli, genere che qui a Londra – come scoprirò presto – è introvabile. Su questi blocchi di solito tengo il mio diario.
Estratti dal diario di D.O., 30/31 agosto 1925
“Sono in salvo dai fascisti, eppure mi annoio molto. Ho quasi finito i miei libri, quelli da leggere. Quanto a quelli da scrivere, nessun progresso. Trascorro i pomeriggi fumando sigari, ascoltando musica, guardando il parco dalla finestra nell’appartamento spoglio. (Spero che i mobili arrivino presto). Ogni tanto esco per una passeggiata e in breve mi viene voglia di rincasare. Mi sveglio tardi: si dice sia un sintomo di malinconia. Ma perché dovrei preoccuparmi? Sono un esule in una città straniera. Un marito lontano da sua moglie. Un democratico in tempi di dittatura. Ho tutte le ragioni per essere malinconico…
… scoperto che accanto a me vive un famoso investigatore. L’ho incrociato un paio di volte sulle scale, ma non ci siamo ancora presentati. Ha lo sguardo intelligente e l’accento francese. Forse dovrei frequentarlo. Potrebbe essere un buon modo per rompere il ghiaccio con questa città”.
Poirot e O. si incontrano
(L’assassino si nasconde tra le righe, scena 7)
Whitehaven Mansions. Poirot esce dall’ascensore, di ritorno al suo appartamento. Trova il pianerottolo occupato da scatole e trasportatori. Si fa strada con fastidio, aiutandosi col bastone. Apre la porta di casa, ma una voce lo ferma prima che entri:
– Mister Poirot!
– Oui?
(Poirot si volta. Un uomo sui 35-40 anni gli si avvicina togliendosi il cappello e porgendogli la mano)
– Permetta che mi presenti. Sono Davide Orecchio, il suo nuovo vicino di casa.
– Ah, bon! Può ripetere il suo nome?
– Orecchio, Davide Orecchio.
– Italiano?
– Appena arrivato da Roma. Un lungo viaggio.
– Abbiamo messo su una bella colonia straniera, a questo piano. Gli altri inquilini sospetteranno che siamo delle spie!
Risata.
– So che lei è un famoso investigatore. Una celebrità.
– Oh, non esageriamo. (Pausa). Una notorietà meritata, ad ogni modo.
Risata.
– La inviterei a prendere una tazza di tè, ma il mio appartamento è ancora impresentabile.
– Allora lasci che sia io a fare gli onori di casa. Gradirebbe una tisana?
– Molto volentieri.
(Entrano nell’appartamento di Poirot)
– Miss Lemon! Abbiamo ospiti!
(La telecamera li segue fino al loro ingresso nel soggiorno, dove Poirot invita l’ospite a sedere sul divano, per poi prendere posto in poltrona).
– Bon! Mi racconti del suo paese. Cosa l’ha spinta a lasciarlo?
Estratto dal diario di D.O., 8 ottobre 1925
“Pomeriggio agitato. Rovistato tra i libri nelle scatole senza sapere cosa cercavo e senza trovarlo. Causa pioggia annullata consueta passeggiata nel parco di Charterhouse Square. Gelo. Il termosifone non riscalda quanto serve ed è atteso. Inventarsi qualcosa. Forse aiutare Poirot? Ieri sera l’ho invitato a bere un bicchiere di porto e in effetti mi è sembrato che (Poirot) avesse bisogno di aiuto. Un caso che (Poirot) non riesce a risolvere. Una donna scomparsa. Nessuna traccia. Solo un romanzo squadernato sul suo (della donna) letto. Quale romanzo? Un libro di Conrad: Nostromo. Non lo conosco, ma Poirot dice che il protagonista è italiano. E questo, dice Poirot, potrebbe essere un buon segno.
“Perché?”, gli ho chiesto.
“Ma perché ora lei è qui, mon ami! È evidente!”.