Festival delle scienze, festival del tempo

(e postscriptum autobiografico)

Quest’anno tutti al Festival delle scienze. In quel fine settimana lungo, dal 19 al 22 gennaio, non ce ne sarà per nessuno. Niente per le mogli, per le amanti, per le fidanzate, per i figli, per i cinema e le partite di calcio. Vincerà il festival, col più sexy dei temi in rassegna: il tempo.

La settima edizione dell’appuntamento all’Auditoriun di Roma sarà dedicata alla quarta dimensione. Leggo dal cs:

«Tra analisi scientifica, indagine filosofica e qualche visionaria incursione nella fantascienza (…) il Festival sarà un viaggio attraverso lectio magistralis, incontri, dibattiti, caffè scientifici, eventi per le scuole, mostre, spettacoli, con i grandi nomi della ricerca scientifica italiana e internazionale. Ma anche con filosofi, storici e scrittori, che indagheranno il significato profondo di questa quarta dimensione che trascende quello che possiamo vedere e toccare. E che va a coinvolgere la nostra essenza più profonda».

E ancora:

«Saranno le domande, tante e insolute, a pervadere questa edizione della manifestazione: il futuro e il passato sono reali come il presente? Passa il tempo quando nulla cambia? È possibile viaggiare nel tempo? Esisteva il tempo prima del Big Bang? Quali meccanismi neuronali spiegano la nostra esperienza del tempo? È, il tempo, infinito? Concepiamo tutti il tempo allo stesso modo? Come parliamo del tempo nei nostri linguaggi? Quali formalismi logico-matematici modellano adeguatamente il ruolo che il tempo svolge nei nostri ragionamenti?».

«Ad affrontare questi e altri quesiti si alterneranno, tra gli altri, l’antropologo statunitense Ian Tattersall parlerà del tempo profondo dell’evoluzione. Julian Barbour, fisico britannico che ha teorizzato in La fine del tempo (Einaudi, 2003) che, in realtà, il tempo non esiste affatto. John Richard Gott III, professore di astrofisica all’Università di Princeton che nel ’91 teorizzò la possibilità di creare una macchina del tempo basata sulle corde cosmiche. Peter Ludlow, professore di filosofia alla Northwestern University, che nei suoi studi spazia dalla linguistica al cyberspazio. O Carlo Rovelli, fisico che ha teorizzato la “gravitazione quantistica a loop” per descrivere le proprietà quantistiche del tempo e dello spazio. Fino a scrittori come Stefano Benni, che il tempo lo riescono a mettere in parole. E in musica».

Tra gli ospiti:

«L’astrofisico, scrittore e poeta francese Jean Pierre Luminet, esperto di fama mondiale di cosmologia e buchi neri e autore di testi come L’invenzione del Big Bang. Storia dell’origine dell’Universo (Dedalo, 2006) e di La parrucca di Newton (La Lepre edizioni, 2011). (…) Il più convinto teorico della fine del tempo, Julian Barbour, sarà domenica 22 gennaio alle 21 in Sala Petrassi per dialogare con il filosofo, matematico ed epistemologo Giulio Giorello durante l’incontro Esiste il Tempo?. E aprire uno squarcio verso concetti come i mondi multipli, i viaggi nel tempo, l’immortalità, l’illusione del moto. Perché con il tempo si può giocare, in un certo senso. Andare oltre, con uno sguardo alla metafisica, come farà Ned Markosian, professore alla Western Washington University in È possibile viaggiare nel Tempo?. (…) Richard Gott III (…) spiegherà la sua teoria di macchina del tempo, che funzionerebbe grazie alla tensione antigravitazionale delle ipotetiche corde presenti nell’universo».

«Come percepiamo l’esperienza del tempo? Come ne parliamo? Il professore di filosofia Peter Ludlow e Yael Sharvit, professore di Linguistica all’Ucla University (…) discuteranno di Il tempo nel linguaggio e il linguaggio del Tempo. Mentre sabato alle 18 in Sala Petrassi si entrerà nei recessi profondi della psiche, con Il Tempo nella mente e il Tempo nel cervello, con Lera Boroditsky, studiosa di linguistica cognitiva, introdotta da Alberto Oliverio. Fino ad affermare: Il Tempo non esiste, domenica 22 gennaio alle 17 al Teatro Studio con il fisico Carlo Rovelli introdotto da Jacopo Romoli».

Postscriptum

Per circa cinque anni della mia vita la percezione e la rappresentazione storiografica del tempo (storico) è stata pressoché la mia unica materia di studio. Ho trascorso un lustro immerso nei testi di Pomian, Baczko, Koselleck, Humboldt, Löwith, Schlözer, Gatterer, in centinaia di manuali di storia tedeschi del 700, in centinaia di manuali di storia tedeschi dell’800, in carte d’archivio, analisi storiografiche e ricostruzioni.

Presente, passato, futuro, presentificazione, eterogeneità temporale, ciclicità e finalismo, progresso, evoluzione, rivoluzione: non c’è stato concetto (Grundbegriff) che non abbia sviscerato per quel che potevo e per quanto le mie facoltà intellettuali mi consentivano.

Sono emerso da quegli anni di studio con una tesi di dottorato di 350 pagine e un quadro del rapporto tra lo scorrere del tempo e l’uomo (seppure nelle sue manifestazioni meno irrazionali, nella sua scienza e nella sua filosofia della storia illuministica) permeato da emotività, ansia, percezione di caos, intima convinzione metodologica riguardo all’imprevedibilità ed eterogeneità dei processi storici sull’asse del cambiamento temporale.

Quegli anni sono passati da un bel pezzo e il tempo, as far as I am concerned, potrebbe in fondo essersi ridotto a nient’altro che calcolo, a una variabile dello spazio, a un sinonimo della crescita e della trasformazione, a un eufemismo per (non) dire invecchiamento e morte.

« (…) Il principio dell’eterogeneità dei processi storici può essere emarginato solo quando si impone un approccio funzionale. Il proposito pratico del rapporto con la storia, oppure le esigenze di una rappresentazione omogenea, relegano in secondo piano gli elementi cognitivi dell’eterogeneità temporale perché emerga un piano uniforme, monodimensionale del divenire. Al fine di consentire l’orientamento della coscienza storica la comprensione degli eventi viene in un certo senso facilitata, razionalizzata, il corso dei medesimi ricondotto nelle linee guida di un progetto storico-filosofico e di un discorso pubblico.

In questo modo si elegge una dimensione del tempo (quasi sempre quella del progresso, del perfezionamento del genere umano) distribuendone la tinta su tutto il campo visuale della storia. Il ragionamento funzionale sull’uniformità del tempo è presente in tutte quelle opere che, posto il problema del rapporto tra sapere storico e orientamento nel mondo della vita, cercano di risolverlo fornendo al lettore delle coordinate per l’azione individuale e collettiva all’interno di un continuum storico agevolato, reso perspicuo. Tale ragionamento, quindi, può convivere col piano dell’eterogeneità (qualora esso sussista), dal momento che ha altre motivazioni e obiettivi diversi.

“Indem sie [die Weltgeschichte] den Menschen gewöhnt, sich mit der ganzen Vergangenheit zusammen zu faßen, und mit den Schlüssen in die ferne Zukunft voraus zu eilen: so verbirgt sie die Grenzen von Geburt und Tod, die das Leben des Menschen so eng und drückend umschliessen, so breitet sie optisch täuschend sein kurzes Daseyn in einen unendlichen Raum aus, und führt das Individuum unvermerkt in die Gattung hinüber”».

Schlözer and me, a long, long time ago….