
«(Ride.) Quando ero in decima ho avuto una storia d’amore. Lui viveva a Mosca. Ci sono andata, per fermarmi non più di tre giorni. La mattina, alla stazione abbiamo estorto a certi suoi amici un’edizione artigianale delle Memorie di Nadežda Mandelštam, un’opera che a quel tempo tutti leggevamo avidamente. E bisognava restituirla già il giorno dopo alle quattro del mattino. Abbiamo passato ventiquattro ore immersi nella lettura, senza interruzioni, tranne un salto in negozio per comprare del pane e del latte. Ci siamo perfino dimenticati di abbracciarci, tanto eravamo stregati dalla lettura di quei foglietti che ci passavamo man mano. Come in preda alla febbre, al delirio … per quel libro che potevi tenere in mano … che potevi leggere. L’indomani, scadute le ventiquattro ore abbiamo anche dovuto attraversare tutta la città a passo sostenuto, i mezzi di trasporto erano ancora fermi. Ricordo bene quella traversata nella Mosca notturna col libro nella mia tracolla. Lo stavamo trasportando come un’arma segreta … Credevamo davvero che le parole potessero scuotere il mondo.
Gli anni gorbacioviani … Libertà e tessere di razionamento. (…) Te ne stai in piedi a far la coda anche cinque o sei ore, ma almeno sei in compagnia di un libro che prima non potevi acquistare. (…) A me in realtà, scema com’ero, sarebbe bastato anche questo, la libertà di parola perché, come non ho tardato a rendermene conto, ero una piccola sovietica, impregnata in profondità di sovietismo. (…)
Mi sarei accontentata che mi lasciassero leggere senza problemi. (…) Non mi occorreva altro. Non sognavo neppure di andare a Parigi. Di passeggiare per Montmartre. (…) Lasciatemi solo leggere e parlare. Leggere!».
(da Svetlana Aleksievič, Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del Comunismo (2013) trad. dal russo di Nadia Cicognini e Sergio Rapetti, Bompiani, Milano 2018, pp. 223-225)