Ho letto, sottolineato, annotato per una decina di giorni Cassandra a Mogadiscio, il nuovo libro di Igiaba Scego. Poi l’ho posato sul mio tavolo. Poi me ne sono andato in giro nelle mie giornate, nel lavoro, nelle perdite di tempo, ma dedicandogli sempre uno scompartimento dei miei pensieri; pensieri che adesso ho provato a organizzare negli appunti che ho pubblicato su Nazione Indiana.
Quando qualcuno evoca la parola “storia”, penso subito a biblioteche e archivi, a carte, documenti e libri, a parole scritte e tramandate: parole come pilastri, carte come mattoni sui quali edificare, appunto, una storia (e una lingua, e uno stile). Ma non sempre si può disporre di un archivio, di un lascito familiare, di un deposito genealogico, di lettere o diari preziosi.
Questo libro – è la mia impressione – risolve con ammirevole sapienza il problema delle fonti, ossia del metodo d’indagine (e l’autrice è lei stessa fonte) e il problema della forma, ossia di un’architettura narrativa che trasmetta la voce della memoria. Poi ci sono molti altri temi altrettanto importanti, ho provato ad accennarli nel pezzo.
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Qualche foto dalla presentazione romana di “Storia aperta”









La presentazione alla Casa delle Letterature, il 20 ottobre, con Goffredo Fofi e Igiaba Scego. Le foto sono di Simona Caleo.