








La presentazione alla Casa delle Letterature, il 20 ottobre, con Goffredo Fofi e Igiaba Scego. Le foto sono di Simona Caleo.
La presentazione alla Casa delle Letterature, il 20 ottobre, con Goffredo Fofi e Igiaba Scego. Le foto sono di Simona Caleo.
Sabato scorso sono partito per Lecce, in automobile dal Lazio. Andavo a ritirare il premio della rivista “Gli asini”. Sono andato ad ascoltare Goffredo Fofi e, tra gli altri, gli storici Bruno Maida e Enzo Traverso, e a spiegare qualcosa di quello che scrivo. Nelle terre di Alessandro Leogrande, tra i suoi amici della rivista, che lo hanno spesso citato, evocato, commuovendosi, per tenerlo ancora presente nello spirito del lavoro, della ricerca, del cammino di un gruppo e di una comunità di persone.
Per arrivare a Lecce ho fatto le autostrade, le superstrade, le strade tra i monti e le litoranee. Nel giorno dell'”esodo”. Poi sono tornato. Un 900 chilometri. Non guidavo così a lungo da anni. Su quelle strade, negli stessi giorni, sono morti prima quattro braccianti del caporalato italiano, poi altri dodici migranti, braccianti del caporalato italiano; stivati nel camion come mezzi di produzione, forza lavoro disumanizzata. Un tir contro un furgone, e la morte. Ennesime vittime di uno sfruttamento che Leogrande ha denunciato in tanti suoi articoli e libri, a cominciare da Uomini e caporali.
Qualche centinaio di chilometri più sopra, l’apocalisse di Bologna: ho letto la notizia mentre mangiavo un panino in un bar, sull’autostrada dell’Irpinia.
Uscendo dal bar ho visto uno slogan e l’ho fotografato: “Sei in un paese meraviglioso”.
Poi, con molti dubbi e più certezze ancora, sono ripartito.
Il Premio degli Asini
«Il premio è nato nel 1992 su ideazione di Goffredo Fofi e ha attraversato nel tempo l’esistenza di quattro riviste: “Linea d’ombra”, “La terra vista dalla luna”, “Lo Straniero” e infine “Gli asini”. Il premio originariamente aveva il nome “Scommesse sul futuro” e veniva assegnato a nuove realtà e a giovani artisti, ma in seguito si è trasformato in un riconoscimento volto a tracciare una mappatura di giovani talenti e dei grandi vecchi nel tentativo di stabilire un’area di resistenti a una visione omologante della cultura. A questo proposito viene nominata annualmente una giuria che si occupa di indicare personalità, figure, artisti, associazioni ed enti che si sono distinte nel loro campo per quello che la rivista stessa definisce una particolare “filosofia asinina”, ossia una particolare testardaggine nello sviluppo dei progetti nei rispettivi campi di appartenenza».
Il Saggiatore pubblica una nuova edizione di Città distrutte (in libreria dal 12 aprile 2018), con una bellissima postfazione di Goffredo Fofi. E’ il mio primo libro di narrativa. Una raccolta di racconti uscita la prima volta a dicembre 2011/gennaio 2012 per Gaffi editore. Questa nuova edizione apporta poche modifiche: qualche refuso corretto, un nome proprio che cambia. Ho preferito lasciare il testo originale, senza cedere a smanie di riscrittura.
Anni fa, quando il libro stentava a trovare un editore (i rifiuti furono tra i dieci e i quindici, non ricordo più il numero esatto) mi arrivò una scheda di lettura (bocciatura) che tra l’altro diceva:
«Il manoscritto non ha il giusto appeal per il mercato editoriale».
Ora, io di mercato editoriale e giusto appeal non ne so nulla, quindi non posso dare torto né ragione alla scheda, ma alla fine Città distrutte se l’è cavata, ha avuto buoni riscontri di critica, ha vinto dei premi letterari e di editori ne ha trovati addirittura due. All’epoca, quando si annaspava, non avrei saputo né potuto immaginare questo esito.
L’approdo al Saggiatore (che mi rende felice e, quando ebbi la notizia, mi emozionò) è stato naturale, vista la presenza nel catalogo di Stati di grazia e del prossimo libro, e considerata la sintonia col percorso intrapreso dal direttore editoriale Andrea Gentile e, finché è stato consulente della casa editrice presieduta da Luca Formenton, con Giuseppe Genna, che mi ha sempre dato consigli preziosi e concesso una stima immeritata.
Non riesco a scrivere altro sul mio esordio, perché temo di andare sopra le righe ed esagerare, e perché un esordio ha in sé molti temi extraeditoriali, personali, famigliari, e in questo caso qualche lutto e cicatrice che han determinato i tempi e i modi della mia scrittura.
Preferisco lasciare la parola a un amico, Tarcisio Tarquini, che fu tra i primi a leggere i racconti e li aiutò in modo decisivo, presentandoli alla redazione di Nuovi Argomenti. Le righe sotto vengono da un post che nel 2012 Tarquini pubblicò sul suo blog (Rendiamoci Conto) oggi chiuso. Ma io le avevo conservate.
«Il libro di Davide Orecchio […], per la battagliera onestà dei critici e scrittori di Nuovi Argomenti e, in particolare, di uno dei direttori, Raffaele Manica e, successivamente, dello scrittore Andrea Carraro, […] è arrivato a un piccolo (ma perché?) editore altrettanto coraggioso come Gaffi e finalmente è stato pubblicato, incontrando – dopo un po’ di tempo e per l’autorevole segnalazione di Daniele Giglioli, sul supplemento domenicale del Corriere della Sera – il pubblico e il successo dovuti».
[…]
«Ci tengo a rivendicare pubblicamente il merito (tutto privato, naturalmente) di aver seguito la gestazione di questi racconti e, per quanto è potuto valere, di aver incoraggiato l’autore di fronte ai dubbi che sempre spuntano a un certo punto della fatica e perciò una rassicurazione può placare l’ansia, il timore di non essere pari alla prova».
[…]
«La complessità e la ricchezza della trama della scrittura di Orecchio non sono lo sfarzoso sfoggio di un talento coltivato da letture e studi (oltre che dalla padronanza di diverse lingue e letterature) che offrono vie e punti di vista non scontati, preziosi, al suo modo di guardare e perciò di raccontare. Sono lo strumento, o il materiale, necessario per ricostruire, incollandone i pezzi dispersi, le architetture frantumate, le volute crollate, i muri portanti sbriciolati dalla tremenda energia della storia che, per un vincitore (o apparentemente tale) che lascia in piedi, come testimonianza del suo violento trascorrere, annienta tutto il resto: le macerie di quelle tante opere d’arte, disperate e vitali, che sono la vita di ciascuno di noi – di chi è venuto prima e di chi verrà dopo – che uno scrittore può osservare con la pietà che cerca, tra i calcinacci, di ricomporre il quadro distrutto, di decifrare il messaggio ancora pulsante che quella vita – ormai diventata muta – ha voluto emettere per parlare ancora».
Tutti i libri hanno una storia. E Città distrutte, nel suo piccolo, non fa eccezione.
Su Internazionale Extra-Playlist Frederika Randall e Goffredo Fofi segnalano MPLR tra i migliori libri del 2017.
«… storie attendibili della rivoluzione e delle sue contraddizioni, acutamente giudicate e soprattutto magnificamente narrate in Mio padre la rivoluzione».
Su Blow up di dicembre, nella rubrica I libri del mese, Fabio Donalisio dedica una bella recensione a Mio padre la rivoluzione.
«Tutto qui è splendidamente tecnico: il gioco delle parti tra personaggi “reali”, storici e volti disegnati ad arte; il falso, il plagio, la mimesi del dato e del documento, appunto; la concorrenza del verosimile al vero».