Mario Sammarone, su La Città Quotidiano, recensisce Stati di grazia

Su La Città Quotidiano è uscita una recensione molto bella di Stati di grazia. La firma Mario Sammarone. Qui riporto l’incipit:

Non si deve perdere neppure una parola di questo romanzo dalla struttura densa, possente, molteplice, fatto di pagine da sorbire una ad una e che creano, ciascuna, mondi di significati e profondità di senso. Stile ed anima vanno insieme in questo testo che riverbera da ogni piega rimandi di significato come in un gioco di specchi. Siamo dalle parti della poesia: è questa la prima impressione che si prova leggendo “Stati di grazia” (Il Saggiatore), il romanzo di Davide Orecchio.

Dunque, lo stile: a volte telegrafico, a volte sovraccarico, barocco nelle enunciazioni, fulminante nel lessico, ma sempre suggestivo ed evocativo. L’autore romano inventa una lingua piena di “sicilianità” con termini dialettali che incantano nella loro loro arcaica genuinità. È una scrittura accorata, responsabile, partecipe, ma con una componente cruciale, l’onestà. Perché non è furba, né opportunista, ma ha una sua austera moralità, è rispettosa della storia che narra e vi entra dentro aprendo scorci di vita.

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Un’intervista a Linkiesta

Il 15 aprile, poco prima della presentazione milanese, Andrea Coccia de Linkiesta mi ha fatto un’intervista che ora è uscita e si trova qui. Abbiamo parlato di Stati di grazia, di come scrivo, di cosa/come si pubblica e legge oggi.

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Il nuovo romanzo di Davide Orecchio, il secondo, appena uscito per Il Saggiatore, si chiama Stati di grazia ed è un romanzo potentissimo, contraddistinto da un linguaggio ricchissimo, cesellato e coinvolgente: un’autentica perla nel panorama italiano contemporaneo, i cui autori principali — con poche eccezioni — non sembrano lavorare molto sulla lingua…

Su Alfabeta2

Alfabeta2 pubblica sul suo sito una bella recensione di Stati di grazia firmata da Francesca Fiorletta.

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Inizia così:

«Meglio abituarsi in fretta al suo stile acerbo, immaturo nell’opporsi al tempo per restare quello che è, ostile ai processi, nemico dei flussi, arrabbiato col divenire, disgustato da ieri, incrostato nel presente (un gatto sul ramo), smemorato del futuro (un vecchio in una casa che si logora)». Meglio abituarsi in fretta allo stile puntualissimo e struggente della scrittura di Davide Orecchio, alle sonorità evocative e martellanti del suo fraseggio ondulatorio, al consuntivo e paradigmatico uso della sua stringente punteggiatura.

Meglio abituarsi in fretta alla pratica dell’elencazione spasmodica con cui Orecchio accomuna immagini surreali e perentorie, tranciate di netto sulla pagina viva e allo stesso tempo modulate con una certa nostalgica morbidezza del gesto, quasi celate sotto pelle eppure continuamente sovraesposte, agli occhi del lettore, grazie a un linguaggio sapiente e molto consapevole, che mescola gli idiomi del quotidiano alle rivendicazioni di una prosa quasi barocca, incredibilmente garbata e tuttavia pregevolmente scarnificante.

Ma è da leggere tutta, fino alla fine, dove si afferma una verità.