QUI SU NAZIONE INDIANA LA VERSIONE INTEGRALE del racconto uscito ad agosto sul Manifesto. “Un ebreo americano nella Berlino di Hitler. Il diario di Abraham Plotkin (1932-1933)”. Col doppio di storie, episodi, illusioni e violenze berlinesi.
Ma la saga di Plotkin non si chiude né apre a Berlino. Dall’Internet 1.0, dall’archivio di uomini e fatti emerge la voce in audio di Plotkin che racconta il sé stesso fanciullo, quindicenne minore al lavoro in uno sweatshop di New York.
«Imparai a odiare il mio quartiere. Odiavo il negozio dove lavoravo e odiavo le bande e i borseggiatori di Rivington Street».
LA VOCE DI PLOTKIN
UN ESTRATTO TESTUALE
FONTE: Child Labor Resources at the Catherwood Library and the Kheel Center
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Dall’archivio di Ellis Island affiora l’immagine di una nave, la Barbarossa che arriva da Brema nel 1901 e sbarca un Abraham Plotkin di anni otto in viaggio dall’Ucraina. È lui? Io credo di sì. Lo portò Barbarossa.
FONTE : www.ellisisland.org
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DA UN PAPER della studiosa Melanie Shell-Weiss sorge l’inizio degli anni ’50, quando P. si trasferisce a Miami, Florida, dove assieme a un altro sindacalista, Robert Gladnick (ex membro delle Brigate internazionali nella guerra civile spagnola) sgomina una sedicente agenzia per l’impiego, la Caribe Employment Agency), in realtà un’organizzazione che traffica donne e uomini da Porto Rico schiavizzandoli nell’industria tessile e agricola della Florida.
Le donne, segregate in una camera d’albergo, sono scortate con le armi al lavoro in fabbrica. Plotkin e Gladnick ne salvano molte e riescono a far chiudere l’agenzia.
È o non è una grande vita americana?