
Sul numero di giugno 2014 de «Lo Straniero» (168) si parla di romanzo e storia recente («I nostri ieri»). La rivista diretta da Goffredo Fofi ha inviato a un drappello di scrittori la seguente «sollecitazione»:
«Cari amici, ci colpisce molto che la migliore letteratura italiana recente – anzitutto quella di questi mesi – senta il bisogno di tornare alla storia del nostro paese, come sfondo o come oggetto di evocazioni solide, socialmente ed eticamente determinate, e ben documentate. È una letteratura che si interroga sul “da dove veniamo” per capire “chi siamo”, attraverso vicende in cui privato e pubblico si intrecciano in modi diversi a seconda delle scelte di ciascun autore, ma pur sempre su uno sfondo di dilemmi che sono importanti per tutti, su eventi e contraddizioni che hanno finito per condizionare il nostro presente.
Questo bisogno di capire e di aiutare a capire ci sembra importante, soprattutto oggi, e vorremmo invitarvi a raccontarci attraverso quale percorso ciascuno di voi ne ha fatto l’ispirazione dei propri lavori recenti, con quali processi ha ritenuto di dover agire, tenendo conto anche dell’intreccio tra le motivazioni “pubbliche” e quelle più personali, che hanno presieduto e presiedono a tutto il vostro lavoro. Le vostre preoccupazioni, il vostro bisogno di venirne a capo, la vostra intenzione eventuale di sottoporre le conclusioni, dirette o indirette, alla riflessione di tutti, possono essere una bussola preziosa. Tanto più ora, nella presente situazione del paese e nella difficoltà da parte della collettività di “leggere” se stessa, di definirsi, di scegliere e di scegliersi.
Abbiamo preferito non porre domande specifiche, ma invitare ciascuno di voi, secondo le proprie convinzioni e la propria volontà (può anche essere che a qualcuno questa richiesta suoni superflua oppure estranea alle motivazioni più profonde), a rispondere liberamente a questa sollecitazione. E abbiamo voluto porre la stessa domanda sia ad autori di fiction che a scrittori che hanno affrontato con i mezzi dell’inchiesta episodi della nostra storia recente utili a capire il passato, il modo con cui ha pesato sul nostro presente e ancora lo determina. Il nostro paese attraversa da troppi anni una fase di sbandamento, capirne le ragioni è utile a tutti, e può forse contribuire a risvegliare, chissà, qualche energia positiva».
Le prime risposte pubblicate sono di Giulio Angioni, Paolo Cognetti, Pino Corrias, Mario Desiati, Giorgio Falco, Angelo Ferracuti, Claudio Giunta, Nicola Lagioia, Sepp Mall, Davide Orecchio, Francesco Pecoraro, Antonio Scurati, Fabio Stassi, Wu Ming 1. Nei prossimi numeri ne arriveranno altre.
L’interesse per «I nostri ieri» sembra scaturire dai sedimenti autobiografici (Cognetti: «Ho un debole per le fabbriche abbandonate. Una città non è una città, nella mia testa, se non ha i suoi ruderi industriali. (…) Mio padre lavorava in fabbrica come impiegato. (…) In macchina la battuta era sempre la stessa: bambini, ringraziate la fabbrica che ci dà da mangiare. Grazie, dicevamo noi. Io vengo da lì».)
– da una crisi pragmatica di orientamento nel presente (Pecoraro: «È esattamente nel momento in cui, non ostanti gli sforzi compiuti per restare al passo, percepisci una diversità tra quello che sei e ciò che prevalentemente ti circonda, che capisci che per tutto il corso della tua esistenza sei vissuto nella Storia, inzuppato di Storia, trascinato dalla Storia. E capisci anche che proprio in quel momento lì, tremendo, di percezione dell’estraneità totale del contemporaneo, la Storia ti ha abbandonato ed è andata in una direzione talmente diversa da quella che ti aspettavi».)
– da un programma politico-narrativo preciso (Ferracuti : «Ho smesso di scrivere fiction nel 2002 perché avvertivo nella società contemporanea un clima di iperfinzione assoluto che cresceva negli atti quotidiani della vita, i cui processi comportamentali erano già allora fortemente fagocitati dai mezzi di comunicazione di massa e dalle tecnologie. Così ho cominciato a scrivere cose ibride, reportage narrativi dove mischiavo racconto tout court, inchiesta, storia italiana…»; Wu Ming 1: «Fin dagli esordi uno dei nostri motti è: “Raccontare le nostre storie con ogni mezzo necessario”. Solitamente queste storie le peschiamo dai “luoghi oscuri”, dai coni d’ombra e dai rimossi della storia (nazionale ma non solo), e/o le troviamo interrogando le cicatrici del paesaggio»).
– dal desiderio di raccontare zone di passato inattingibili sui libri di storia (Giunta: «Quella che m’interessa è, per dirla in breve, l’evoluzione delle forme di vita. Come sono cambiati, poniamo, i modi di stare insieme, di divertirsi, di consumare i pasti, la prossemica, il taglio degli abiti, i gusti, le cerimonie, l’uso del linguaggio»),
– da una riflessione cognitiva sulla durata che si fa stile (Falco: «Ho scritto La gemella H solo al presente, quello merceologico degli anni trenta del Novecento, che si è riverberato fino a noi; per quanto possiamo essere tristi e svuotati dopo, la merce del tempo presente – il presente del desiderio – non ci inganna. Il fiabesco refrain è invece all’imperfetto, scandisce proprio quel ritornello congelato in un passato che continua a svolgersi…».)
Sono solo degli stralci. Le risposte integrali, tutte molto interessanti (a parte la mia), sono pubblicate sul numero di giugno de «Lo Straniero» che, oltre al cartaceo in abbonamento postale o in libreria, si può acquistare in formato digitale su Port Review: www.portreview.it/riviste/numero_rivista/266/lo-straniero-168.