Le parole e la storia

Io, figuriamoci, io, non so come né quando finirà questa terribile guerra, non ho idea di come alleviare le sofferenze che gli ucraini, invasi dai russi, patiscono, sono del tutto impotente, sono impotente persino di fronte alla fragilità di una signora ucraina che, al mio fianco, alla manifestazione per la pace di Roma, non smette di piangere, piange più forte delle parole pronunciate dal palco, più forte degli appelli al diritto e alla pace, più forte degli slogan contro Putin o contro la Nato, piange con tutta la forza che le offre il corpo, piange contro la guerra e contro la storia, eppure è inerme mentre un imbecille, col proprio smartphone, la fotografa.

Ma un’idea, ed entriamo nella seconda settimana dall’aggressione di Putin, me la sto facendo, e voi penserete che è un’idea sbagliata ma io, anche se è un’idea sbagliata, preferisco non tenerla per me, perché riguarda le parole che usiamo, i concetti che adoperiamo, la Storia che invochiamo di continuo per illustrare moventi, modelli, comportamenti, la storia peggiore, quella barbarica del secolo che abbiamo alle spalle, la storia delle guerre totali che adesso interroghiamo per trovare risposte, o che evochiamo con la leggerezza di apprendisti stregoni. 

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