Radio Days #3

È stata l’occasione per spiegare il ruolo del tempo nel libro: tempo personaggio, tempo storico passato presentificato, tempi verbali. E poi per parlare di Trockij, Bob Dylan e mio padre.

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È successo nel corso di un dialogo/intervista con Giordano Meacci su Mio padre la rivoluzione.

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Domenica 17 dicembre 2017 sono stato ospite del programma radiofonico La lingua batte su Radio3, curato da Meacci, in una puntata dedicata alla Rivoluzione.

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(Immagine nella foto di copertina tratta da: StockSnap)

Nascerà un altro Bob Dylan?

dylan

L’anno cinque del novecento nel porto sul Mar Nero di Odessa nacque un papavero nero, i suoi treti col sapore di odio, quando si scatena un’isteria di pogrom antisemiti e Zigman Zimmerman decise che non ne può più, l’impero russo l’impoverisce e lo lincia, Zigman pensò primum vivere, s’imbarca su una nave, cerca rifugio in un nuovo paese, incontrò muri?, fili spinati?, forse, ma non così irresistibili, non così invalicabili da impedirgli di scendere negli Stati Uniti d’America, e Zimmerman emigra nella città di Duluth, e prese a lavorare come ambulante nel Minnesota, e riparava le scarpe, e creò una famiglia, e fu libero di vivere e di non morire linciato.

Non è che allora il mondo fosse gentile (noi lo sappiamo, perché sappiamo tutto, perché sfogliamo la vita del mondo passata), ma a volte consentiva la fuga, non sempre era governato da uno spirito di muri e fili spinati, e, se allora il mondo fosse stato governato da uno spirito di muri e fili spinati, Zigman Zimmerman non sarebbe mai arrivato a Duluth, e sua moglie Anna non l’avrebbe raggiunto mai dall’Ucraina, e Zigman e Anna non avrebbero avuto mai il figlio Abe Zimmerman che nacque nell’undici, e Abe (neppure nato) non avrebbe sposato mai Beatrice Stone il dieci giugno del trentaquattro, e Beatrice Stone neppure sarebbe mai nata se la madre Florence Edelstein non fosse sbarcata coi genitori Benjamin e Lybba dalla Lituania, e così Florence (neppure sbarcata) non avrebbe mai sposato a Hibbing nel Minnesota Ben Stone né avrebbe messo al mondo la figlia Beatrice nel quindici (l’anno dell’aloe per l’igiene del mondo, per le sue cicatrici), e così Abe (neppure nato) e Beatrice (neppure nata) non avrebbero avuto mai il figlio Robert Allen Zimmerman che nacque nel maggio del quarantuno, e così, se allora il mondo fosse stato governato dallo spirito di muri e fili spinati, il mondo non avrebbe mai avuto Bob Dylan, figlio di Beatrice e Abe, figlio del viaggio di Zigman Zimmerman.

E se non puoi viaggiare o il viaggio ti uccide, tu sei il padre o la madre di non sapremo mai chi, e da questo spirito odierno del mondo fatto di muri e fili spinati tuo figlio non nascerà, i tuoi nipoti non nasceranno, non nasceranno altri Bob Dylan figli del viaggio, nasceranno invece cloni perfetti e mediocri al di qua del muro, e l’uomo nuovo ripeterà il vecchio, vivrà poco più a lungo ma sarà come il vecchio al di qua del muro, e l’uomo nuovo vivrà sempre più a lungo ma sarà come morto al di qua del muro, a meno che lo spirito del mondo non cambi, ma cambiare lo spirito del mondo al di qua del muro, al di là del muro, è prerogativa dell’uomo.

[ Sulla famiglia di Bob Dylan e le sue origini cfr. Howard Sounes, Down the Highway: The Life of Bob Dylan ]

Dylan Skyline

Dylan
Per Nutrimenti Edizioni esce questo libro allevato da Filippo Tuena, e al quale partecipo con un mio racconto. Dodici scrittori italiani di generazioni diverse rendono omaggio a Bob Dylan; con l’aggiunta di una bonus track firmata dallo stesso Tuena. Gli autori: Luciano Funetta, Helena Janeczek, Janis Joyce, Tiziana Lo Porto, Francesca Matteoni, Davide Orecchio, Marco Rossari, Marco Rovelli, Alessandra Sarchi, Andrea Tarabbia, Giorgio van Straten, Alessandro Zaccuri. Dalle pagine affiorano cover, unplugged, live version, bootleg, alternate take. Il mio racconto è senz’altro un’alternate take.

Bob Dylán

Parigi val bene una mostra, per i fan del menestrello Zimmerman. In questa (Bob Dylan, L’explosion rock 61-66) in corso alla Cité della musique c’è molto di molto. Le splendide foto di  Daniel Kramer, che puntò sull’artista sconosciuto al Greenwich e l’accompagnò in un’ascesa tutta in bianco e nero. Foto ancor più primordiali, quelle che ritraggono un cinghialetto teen del Midwest, prima di sbocciare e smungersi sulla costa, prima di farsi Bob Dylan. Tracce audio e video fino all’eruzione della svolta rock: 1965, Newport, i buuuu dell’audience folk e lui che incurante elettrifica Like a Rolling Stone (c’è il video integrale, affisso in una sala ad hoc/ad rock, scura, da percezione e meditazione).

L’eccezionale film londinese Don’t look back di Pennebaker: testimonianza della tournee in UK che rende del tutto superfluo (esteticamente) l’episodio di I’m not there ad essa ispirato (solo una copia e nient’altro che). E poi un gran varietà di chitarre Martin, Fender, Gibson, tutte arpeggiate e riffate a suo tempo dal menestrello Bob. Taglio temporale: 1961-1966 (con un po’ di radici “a monte”): gli anni dell’esplosione, della definizione d’una identità artistica. Gli anni migliori. Per me, da accorrere in massa.