Filippo La Porta (La Domenica/Sole 24 Ore) su Mio padre la rivoluzione

Il Domenicale del 19 novembre pubblica una recensione di Filippo La Porta a Mio padre la rivoluzione. Qui resto senza parole e grato, anche per il rilievo dato al capitolo sul Partigiano Kim, per me niente affatto secondario.

«Il libro è uno straordinario racconto del mito politico più pervasivo della contemporaneità. (…) Un personalissimo reportage immaginativo, la cronaca fedele di ciò che è stato e di ciò che avrebbe potuto essere».

 

Un «lavoro sapiente di collage, e poi una lingua vibrante, ricca degli umori più diversi (a volte quasi cronachistica e a volte liricheggiante)».

 

«In questa rilettura partecipe e insieme straniante del mito Orecchio ci permette di non monumentalizzare la Rivoluzione ma di assumerla come evento capace di dialogare con il nostro presente e i suoi conflitti».

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Foto minimum fax

Il Sole 24 Ore recensisce Città distrutte

La Domenica de Il Sole 24 Ore, 2 settembre 2012
Michele De Mieri, Piccoli compendi di sconfitte

Un libro per niente usuale, poco parificato alle vigenti regole editoriali delle collane di narrativa, s’aggira quasi clandestino nelle librerie italiane, dopo aver atteso tre anni per trovare un editore. Arriva da un esordiente ultraquarantenne, uno storico di formazione che cesella «Sei biografie infedeli»: così recita il sottotitolo di Città distrutte, il libro – da leggere – scritto da Davide Orecchio per l`editore Gaffi e finalista al Mondello. È un genere ibrido quello che ha scelto Orecchio per queste sei storie, un riuscito intarsio di diari, biografie, foto e invenzione narrativa. Un calco di vite reali che diventa un tutt’uno sommandosi a quello di vite immaginate, in cinque casi su sei un reticolo di storie che si dipana nelle tragedie del secolo breve, un incontro tra le minute esigenze degli individui e l’avanzare impietoso di ideologie e Stati autoritari.

Ester Terracina, ragazza argentina d’origine italiana inabissata dentro la lista infinita dei desaparecidos; Eschilo Licursi, sindacalista molisano in lotta per la dignità dei contadini della sua terra che viene poi dimenticato dal suo partito; Valentin Rakar, regista sovietico esiliato a Roma dove vaneggia un impossibile ritorno alla sua terra e alla sua famiglia; Pietro Migliorisi, prima poeta littoriano poi giornalista, prima fascista entusiasta poi comunista, sempre entusiasta, infine montaliano per sempre; Retta Rauch, scrittrice e poeta che mai pubblicò un rigo, donna infelice in un’epoca di liberazione dei costumi; infine Kauder, diplomatico prussiano nella Roma d’inizio Ottocento, innamorato della decadenza capitolina più d’ogni altra cosa. Dietro, dentro questi personaggi s’insinuano frammenti d’esistenze reali, uomini e donne piegati dalla Storia; lettere, versi, riflessioni dove, prima di tutto, si fa esperienza della sconfitta, del dolore. È abile l’autore a seminare parole che cambiano di bocca ma che restituiscono un senso reale a una vita inventata, sorveglia il suo tragitto durante ognuno dei racconti, ci mette a parte del corpo a corpo spirituale che ognuna di queste esistenze generano in lui.

Con le carte dell`archivio coniugate all’invenzione, Orecchio fa migrare tratti e pensieri di Andrej Tarkovskij in Valentin Rakar, il pensiero e l’opera di Wilhelm von Humboldt nella vita di Kauder, e ancor meglio gli riesce l’operazione nelle altre quattro biografie manipolate, dove memorie di famiglia e pratica da bravo storico compiono un piccolo prodigio narrativo, sostenuto da una lingua sempre elaborata che a scarti improvvisi ci porta sull`abisso di cui hanno fatto esperienza le tipologie umane che Città distrutte ben illumina. Da germanista Orecchio sa che i suoi ritratti sono prossimi a quelli di Gli emigrati di W.G. Sebald, senza sfigurare.

L’ALLEGATO