Trockij in the sky with diamonds

Un tempo, molto tempo fa, mi stava simpatica l’Urss, l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. Mi stava simpatica ma non ci sarei mai andato a vivere. Diciamo che mi stava simpatica da lontano. Mi piaceva studiarla. E naturalmente studiandola prendevo tutto il pacchetto: la rivoluzione, i politici rivoluzionari, gli artisti rivoluzionari, i mugicchi massacrati, gli ebrei massacrati, i polacchi massacrati, i poeti massacrati, i gulag. Era proprio l’insieme, il pacchetto, a ispirarmi tanta empatia per l’Urss. Amavo l’Urss per le sue sofferenze.


Stalin non mi stava simpatico. E neanche quelle mummie che governarono l’Urss dopo di lui. Quindi era una patria di cui odiavo i padri. Gorbaciov mi stava simpatico. Di Lenin invece non capivo se potevo fidarmi o no: “In fondo – pensavo, tra una lezione e l’altra all’università – ha aperto lui la strada a Stalin, salvo poi pentirsi quando ormai era troppo tardi.” E mi chiedevo: “Lenin è l’origine pura cui è seguita la deviazione o già lui era sviato di brutto?”. Preferivo non approfondire il dilemma. Oggi sarebbe facile rispondere: “La seconda che hai detto”, ma la risposta sarebbe tardiva, visto che il gioco è finito da un pezzo.

Invece su Trockij non avevo alcun dubbiolui sì che mi piaceva. Ma se non gli avessero spaccato la testa con un piccone mi sarebbe piaciuto lo stesso? Forse no. Chi sa cosa avrebbe combinato se fosse andato al potere, Trockij. Meglio non pensarci. Mi piaceva proprio perché non ebbe il potere che per un attimo. Mi piaceva proprio perché gli fu negato l’esercizio del potere, con tutte le sue conseguenze.

Un tratto di Trockij mi faceva impazzire, ed erano le batoste. In quanto a batoste Trockij fu un campione, nessuno lo superò. Errori, batoste, errori, batoste, fino all’ultima e fuor di metafora, quella che gli spaccò il cranio. La vita di Trockij, riscritta da Isaac Deutscher nell’arcinota trilogia, per me che la leggevo e ruminavo era più tragica, romanzesca e avvincente di tutti i romanzi di Conrad Tolstoj messi insieme. Era una vita piena di azioni, viaggi, idee, battaglie, fughe nella steppa, esili su isole turche, amori, ancora idee, figli messi al mondo e visti morire e, soprattutto, errori.

Quanti errori! Non riuscivo a capacitarmene.

Come si può essere così ingenui da farsi spaccare la testa con una piccozza? Come si può lasciare il partito in mano a Stalin? Tacere quando un intero Congresso attende una sola parola? Tenere in tasca il testamento di Lenin, l’atto d’accusa al perfido georgiano, senza tirarlo fuori? Che disgraziato, Lev Davidovič! Che sublime inanellatore di cantonate!

Ogni volta che pensavo a Trockij mi riempivo di sconcerto. E non riuscivo a togliermi dalla testa quella masnada di comunisti che si misero in fila per accopparlo. Erano davvero in molti, e tutti rossi fino al midollo. Alcuni pure in gamba.

Ad esempio c’era David Alfredo Siqueiros che dipingeva da dio. Questo è un mural di Siqueiros sull’edificio del rettorato alla Unam, l’università di Città del Messico.

Non è vero che dipingeva da dio? Provò ad accoppare Trockij più di una volta, e personalmente. La fila dei nemici del Vecchio era lunga ed io non transigevo: “I nemici di Trockij sono i miei nemici”, anche se non potevo dirmi per nulla trockijsta (della rivoluzione permanente, ad essere sincero, mi stancava solo l’idea: mi sembrava un po’ come una gara di masturbazione – competizione che ho sempre rifuggito).

Dal 1937 al 1940 Trockij visse in esilio a Città del Messico. Prima ospite di Diego Rivera, un altro che dipingeva da dio:
Poi visse con tutto il suo clan in una villa di Coyoacán, quartiere/villaggio fascinosissimo, dove Cortés torturò Cuauhtémoc perché gli rivelasse dov’era nascosto il tesoro azteco. Coyoacán, dove visse anche Frida Kahlo e io stesso andrei a vivere senza pensarci troppo sopra.

In quella villa di Coyoacán Trockij fu ucciso da Ramón Mercader, finto segretario con la missione di assassinare l’ultimo nemico di Stalin, l’ultimo bolscevico della vecchia guardia.

E così fu.

Ora è diventata un museo. Uno dei musei più tristi che siano mai stati costruiti:

(video di Valek58)

È il museo di un genocidio familiare: lo sterminio stalinista di tutti i Trockij (in realtà di tutti i Bronštejn – vero nome di Lev, ebreo dell’Ucraina – e di chi gli si apparentò), dal primo all’ultimo o quasi, documentato nelle lettere, nelle foto, nei testi che il museo custodisce.

E naturalmente è una casa: c’è la cucina dove Trockij mangiava, il soggiorno dove discuteva le strategie, la camera dove dormiva. Lo studio dove scriveva e fu assassinato. Nella casa museo di Trockij c’è tutto quello che occorre sapere, e c’è anche una lapide.

Che vita, Lev Davidovič! Quanta avventura e quanto inferno!

Forse, Lev Davidovič, l’unica cosa davvero bella che ti sia capitata è di essere finito a letto con Salma Hayek.

Poche letture:
Isaac DeutscherIl profeta armato – Il profeta disarmato – Il profeta in esilio, Longanesi.
Pierre BrouéLa rivoluzione perduta, Bollati Boringhieri
Leonardo PaduraEl hombre que amaba a los perros, Tusquets.

pubblicato anche qui