L’orizzonte della storia

Non smettiamo di misurarci con la storia. Non è una novità, ma perché dura e cresce questa ostinazione?

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In un bell’articolo pubblicato su La letteratura e noi Chiara Fenoglio scrive, sul conto di Mio padre la rivoluzione:

Resuscitando il ‘novecentodiciassette, Orecchio resuscita quella parte di noi perduta nel disinteresse, restituisce il diritto di parola a quel coro-mondo che annichilito dalla voce dei potenti, può e deve tornare a interrogarsi sul mondo.

Rapporto con la storia, col tempo, col passato: lo rileva anche Giacomo Raccis, su La Balena Bianca, nel suo resoconto delle cinque opere finaliste al Premio Bergamo 2018, quando scrive:

La linea rossa che lega i finalisti di quest’anno sembra essere l’invenzione del passato come chiave per sopravvivere al presente, o quantomeno per comprenderlo.

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Non smettiamo di misurarci con la storia. Non è una novità, ma perché dura e cresce questa ostinazione? Le ragioni sono molte: in letteratura, quasi una per ogni autore, e altrettante per ogni lettore. Lo Straniero le illustrò qualche anno fa in un’inchiesta curata da Goffredo Fofi e dal compianto Alessandro Leogrande. Qui, un po’ rozzamente (ma spero di tornarci sopra in futuro), mi sento di escludere un intento polemico verso la storiografia. Ossia nessuno di noi può rivendicare il recupero o l’invenzione, alla Schwob, di esistenze individuali trascurate dalla storia che bada solo ai grandi eventi, alla politica. Perché, se siamo figli di Schwob e Borges, lo siamo anche di quella rivoluzione storiografica che ha portato nelle nostre letture, nella nostra coscienza storica, i benandanti e le streghe, gli eretici, gli sconfitti, la dimensione sociale e la microstoria. Siamo dunque anche figli di Ginzburg e Hobsbawm e Bloch.

Ma c’è una cosa che ci distingue, mi sembra, dal secolo scorso: noi abbiamo ridotto la verticalità temporale, misuriamo meno il distacco tra il presente e il passato, i tempi della storia coabitano quasi simultaneamente nelle nostre coscienze nutrite di immagini, parole, spettacolo, forme, cinema, televisione, multimedialità. E’ un tema che non riguarda solo la letteratura, ma proprio la vita. Siamo l’esito culturale di una presentificazione che impone il peso fortissimo della storia sulle nostre spalle. La storia ci è sempre presente, non ci lascia mai. Le distanze sono annullate. Non è più l’eterno ritorno, il tempo ciclico, l’eterogeneità dei tempi. Non è Löwith. E’ un tempo storico unico che è il presente e il passato, forse anche il futuro. Dalla lista di Schindler ai pellegrinaggi nello spazio e nel tempo di Sebald, dall’intrattenimento di Hollywood ai più ponderosi volumi, ci siamo evoluti (o involuti) in creature nelle quali esulcera l’immaginazione storica in ogni sua forma sentimentale o intellettuale: sofferenza, empatia, gioia, riscatto.

Poniamo le necessarie e orientative questioni esistenziali, politiche, autobiografiche al passato non più col rispetto agnatizio del Lei o del Voi che si deve al pater familias, ma col Tu di fratelli e sorelle, di compagni di strada.

Cane con maschera anti-gas. Da Internet Archive Book Images, http://www.flickr.com/photos/internetarchivebookimages

L’ultima transizione digitale ci ha dato la spinta definitiva. In un tweet, o da un archivio multimediale, può apparirci qui e ora la foto di un cane in trincea, e che indossa la maschera antifosgene, a Verdun o chissà dove nella Grande Guerra. Le rughe sulla pellicola che un tempo ci avrebbero dato coscienza del tempo, oggi sono il filtro per Instagram. Anche qui la tecnica finisce col rendere tutto presente. Anzi non esistono quasi più i tempi. Esistono i modi. “In che modo vuoi vedere? Vuoi guardare in tinta seppia o anni ’70? Vuoi percepire col filtro noir o grunge?”. Il digitale presente continuo è spesso un attentato alla cognizione dei lassi, non tollera che noi si colga neppure la decomposizione della materia. Questa modi-ficazione è affascinante, è estetica, è emozionante, consente una vicinanza al passato che nessuno ha avuto prima di noi, ma può indurre a un’ignoranza delle cronologie, delle cause e degli effetti, perché ci crea un deposito spotify di secoli e storia senza sintassi, senza ragionamento.

Tutto ciò non sminuisce la questione, anzi è iperreale, è CGI, è realtà aumentata. Rispetto alle donne e agli uomini che ci hanno messo al mondo, e a chi mise loro al mondo, ci orientiamo nel divenire in modo simultaneo, nuovo, rivoluzionario: ma, quanto più sentiamo il passato vicino e presente, tanto più insistiamo nell’interrogarlo, drogati e stupefatti da questa sostanza che ci permea e vivifica: la storia. Tuttavia senza bussole né assi cartesiani, senza un’architettura e ossatura che dia forma e grammatica alle nostre domande, ogni nostro “perché” rischia di essere inutile in quanto mal posto, e di ricevere in replica solo “falsi amici”. E noi crederemo di avere capito, ma non avremo capito.

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