Lettera agli affetti

[7 maggio 2020, Facebook]

Miei cari,

da quando siete partiti il mondo è cambiato. Riuscite a immaginare da dove vi scrivo? A quale mezzo affido il mio messaggio per voi? Non adopero una delle vostre Olivetti. Nelle vostre vite pestavate sui tasti. Col ricorso a tappeti di feltro pensavate di attutire i colpi sulle macchine calde, e di non disturbarmi. Ma esattamente così non andava. Vi sentivo.

Le Olivetti non si usano più, né i primordiali personal computer che avete fatto in tempo a vedere (e sgranavate gli occhi). Insomma da dove vi scrivo? Da una bacheca sociale. E digitale. È un luogo promiscuo nel quale altri possono leggere il mio messaggio per voi, che diventa lettera aperta agli affetti. Questi “altri”, dei quali io stesso faccio parte, sono nomi e personalità senza corpo, parole pure che si raccolgono nello spazio virtuale dove ora voi mi leggete. Questo è il mio luogo, seppure anche io debba usare una tastiera e l’alfabeto che già conoscete, e vi scriva dalla casa che molto tempo fa avete lasciato, da qui, proprio da qui, non sorprendetevi, dove resto sigillato ormai da due mesi, perché è scoppiata un’epidemia e mi è proibito di uscire.

Immagino il vostro stupore. Un’epidemia. Una pandemia. È arrivata morte collettiva nella mia vita. Pericolo di tutti. Fervore e solitudine. Potete comprendermi? Tu puoi comprendermi, che nascesti nel ‘15 e combattesti tre guerre? Anche tu puoi comprendermi, venuta al mondo nel ‘39, quando veniva al mondo l’ultima guerra?

Vi prego, nessuna preoccupazione per me, niente soprappensieri. Siccome vado scomparendo, io sto bene. Questo volevo farvi sapere in lettera aperta. Mi allontano e sto bene. Appassisco e sto bene. Non potreste immaginare il ragazzo che non sono più. Ricorderete forse il ragazzo chino sui libri di storia, e appassionato. Prima di partire, il vostro preoccupato pronostico fu per una vita di studio. Si avverò per un poco. La tua partenza era calda, quando andai a Milano per il dottorato, la tua partenza mi distraeva nella grande aula, chiamato a esporre progetti per la commissione professorale, e invece pensavo alla gonna e al cappotto nei quali eri partita, alle calze di nylon per sempre. Pensa che ora non si può andare a Milano, né in treno, né in macchina o aereo, e nemmeno a piedi.

Pensa che ora la mia vita non ha corrisposto al vostro pronostico. Ho scelto una vita diversa. Ho cercato il più a lungo possibile di non prendere ordini. Odio gli ordini. Odio i comandi. Dalla tua partenza, avevo 26 anni, bado a me stesso. Ho fatto la spesa, ho risolto questioni pratiche. Sono fiero di aver badato a me stesso. Ma ho iniziato troppo presto, e in quel modo, senza ultime istanze, senza gradi di appello, dovendo badare a me stesso o morire, mi sono trasformato in un maturo bambino, improvvisamente adulto, fragile durevolmente.

Ma questo volevo dirvi: non importa e me la sono cavata. Scomparendo sento di rilassarmi, come se bevessi whisky in faccia alla storia. Svuoto il mio calice e non sopravvaluto il dovere di vivere. In stato di ebbrezza, sottovalutare si può. Peccato solo che non abbiate letto i miei libri. Qualche racconto, un paio di romanzi. Mi avrebbe fatto piacere mostrarveli. Ma se voi non foste partiti così presto, io non avrei scritto quei libri e non avrei potuto mostrarveli. Insomma che complicazione le cause e gli effetti.

Mi accorgo che voi siete per me la preistoria, e che io sono per voi fantascienza. Tranquilli: eccettuate epidemia e tecnologia, conservo fattezze umane, mi copro con vestiti pesanti nell’inverno più rapido e adopero le stoffe leggere di sempre nelle lunghe stagioni del caldo.

Mi sognate? Io vi ho sognati. È ovvio che ci siamo sognati. Tengo per me il racconto onirico vostro, preferisco non spogliarmi, restare negli abiti davanti a voi. Venite a trovarmi nei sogni, io vi raggiungo nei vostri. Il racconto è superfluo.

Per la festa del partigiano ho messo alla serranda una bandiera tricolore. Perdonami: tu mettevi bandiere rosse. Ma ho aggiunto un fazzoletto rosso, ricordo molecolare di te. Poi, ogni sera, cucino in casa con la mia compagna, un’estranea per voi mi dispiace. I ristoranti sono ancora chiusi. Teatri e cinema anche. Ma noi abbiamo due ore di serenità, mentre si prepara e apparecchia la tavola, e poi quando si cena. Beviamo vino e parliamo.

Ecco, questo volevo farvi sapere, laggiù dove siete finiti: che beviamo vino e parliamo ogni sera, che beviamo vino e ridiamo. Quindi va tutto bene, per un poco ancora.

Spero che anche voi condividiate la mia serenità. Ricordatevi di me come io vi ricordo, e ogni tanto mandate notizie.

Con affetto, d.

Dedicato a Frederika Randall

Dappertutto si bruciava rosmarino per tener lontana l’epidemia

«Dappertutto si bruciava rosmarino per tener lontana l’epidemia, nelle strade, nelle entrate delle case, soprattutto nelle camere dei malati, l’aria era azzurrognola per il fumo e profumata, neanche sembrava la fetida città dei giorni di salute. C’era una gran ricerca di lingue di S. Paolo, che sono pietre in forma di lingua d’uccello e che si trovano sulle spiagge che da S. Paolo vanno fino a Santos, sarà per santità intrinseca dei luoghi o per santificazione che viene loro dai nomi, ciò che tutti sanno è che queste pietre, e altre, rotonde, della grandezza di un cece, sono di sovrana efficacia proprio contro le febbri maligne perché, composte come sono di polvere finissima, possono mitigare l’eccessivo calore, eliminare i calcoli e talvolta provocare sudore. La stessa polvere, che risulta dalla macina delle pietre, è decisiva contro il veleno, quale esso sia e quale sia stata la sua somministrazione, soprattutto in caso di morso di animali velenosi, basta mettere la lingua di S. Paolo o il cece sulla ferita e in un istante il veleno è risucchiato. In tali casi, queste pietre si chiamano occhio-di-vipera.

Con tutto ciò pare impossibile che ancora possa morire gente, con tanti rimedi e tanta protezione, qualche irreparabile colpa, agli occhi di Dio, avrà commesso Lisbona perché siano arrivate a morire in questa epidemia quattromila persone in tre mesi, il che significa più di quaranta cadaveri da sotterrare tutti i giorni. Le spiagge sono rimaste senza pietre, e zitte le lingue di quanti sono morti, impediti questi ultimi dallo spiegare che tali farmaci non li avrebbero potuti curare. Ma lo avessero pur detto, proprio questo avrebbe dimostrato la loro impenitenza, poiché non avrebbe dovuto causare meraviglia che delle pietre potessero curare febbri maligne solo perché ridotte in polvere e mescolate al cordiale o nel brodo…»

José Saramago, Memoriale del convento, Feltrinelli, traduzione di Rita Desti e Carmen M. Radulet

Foto di Matthias Böckel da Pixabay 

Le Altre

Due sindacati italiani, lo Spi Cgil (pensionati) e la Filcams (servizi) il 3 aprile 2020 hanno lanciato una campagna per badanti, colf, babysitter: chiedono che anche queste lavoratrici siano incluse nel perimetro delle tutele elaborate dal governo coi suoi decreti, e dalle Regioni e dai Comuni. Stiamo parlando del dovere di proteggere la salute e il reddito di centinaia di migliaia di persone, l’88% donne, danneggiate dal lockdown e dalla pandemia Covid-19. Quindi, per dirla semplice: servono mascherine, soldi, ed emersione dal nero. Da Rassegna, dove ho scritto un pezzo al riguardo, riprendo quello che mi hanno raccontato due di loro, Mayda e Munara.

Mayda è cubana. Da circa trent’anni vive in Italia, a Roma. Ha la cittadinanza italiana. Per anni si è occupata delle case degli italiani e dei loro nonni, accudendo gli spazi e gli oggetti, curando le persone. “Sono sempre stata precaria”. Ma coi contributi era in regola. Adesso la quarantena sua personale e collettiva dovuta al Covid-19 la sta privando del lavoro e del reddito.

“Ho perso il lavoro a febbraio – racconta -, lavoravo come badante per una signora di 93 anni. Dodici ore per circa 300 euro a settimana. Ho chiesto subito l’assegno di disoccupazione ma, secondo lei, quanto riceverò? Dai conti che mi sono fatta dovrei avere 150, 170 euro. Se va bene. Ho visto una cifra simile accreditata sul mio conto corrente a marzo. Forse è già il mio assegno. Non lo so. Ma come ci pago l’affitto? Come ci faccio la spesa? Ora che anche mio marito è disoccupato?”.

“Anche mio marito è disoccupato. Lavorava in servizi di facchinaggio. Pure lui precario, come me. Licenziato, come me. A febbraio, come me. Ci è accaduto tutto simultaneamente. Ci facciamo forza e compagnia. Siamo qui, chiusi in una casa di cui non sappiamo come pagheremo l’affitto. Secondo lei quanto possiamo andare avanti in queste condizioni?”.

Altre preoccupazioni si aggiungono dai paesi di origine, dalle madri che Mayda e il suo compagno hanno a Cuba e in Venezuela:

“Sono disperate, non possiamo più mandare loro quei cinquanta, cento euro al mese che erano indispensabili per vivere”. 

Munara, 32 anni, kirghisa. Vive in Italia da dieci anni. A Napoli. Ha una figlia di due anni e mezzo.

“Sono ragazza madre – racconta -. A causa del Coronavirus ho perso metà del mio lavoro. Mi hanno detto: ‘Ci sentiamo quando finisce tutto’. Mi è rimasta l’altra metà: il lavoro al mattino, di quattro ore, presso una signora anziana disabile, sulla sedia a rotelle. Mi occupo di lei e del marito, faccio la spesa, cucino. Questa signora è fortunata perché a gennaio mi ha fatto il contratto, prima della quarantena. Senza un contratto regolare di lavoro non potrei uscire di casa tutti i giorni, mi farebbero la multa. Cerco di non prendere l’autobus perché ho paura. Quindi, a piedi, andata e ritorno sono quasi due ore di viaggio. Certo sto rischiando di prendere il virus, ci penso ogni giorno che esco. Ma cosa devo fare? Indosso guanti e una mascherina che mi sono cucita da sola, e quando torno a casa la lavo. Le mascherine chirurgiche non le ho trovate. Un giorno ho detto alla signora che non potevo andare, perché temevo di contagiare mia figlia, e lei si è messa a piangere: ‘Se non vieni, io come faccio?, chi mi aiuta?’”.

In Italia sono due milioni le persone impiegate in lavori di cura, e solo 860mila di loro sono in regola, iscritte agli elenchi dell’Inps. Il decreto Cura Italia di marzo non le include negli aiuti economici. Il prossimo decreto, atteso intorno a Pasqua, dovrebbe farlo. Ma nel governo e nella maggioranza ancora si discute il come. L’ipotesi più forte è quella di istituire un Reddito di emergenza che copra anche le categorie escluse, e quindi le badanti.

Scrive Valentina Conte su Repubblica:

Un pacchetto lavoro da 15 miliardi, incluso il Reddito di emergenza da 3 miliardi per 3 milioni di persone, poco più di 1 milione di famiglie, senza alcuna fonte di sostentamento. Il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo (M5S) punta a rafforzare i sussidi ai lavoratori senza lavoro nel prossimo decreto Aprile, previsto per Pasqua o subito dopo, non oltre la metà del mese. E a parametrarli con il quoziente famigliare. Diversi i punti allo studio. Allungare la Cassa integrazione che ora copre solo 9 settimane. Prorogare l’indennità da 600 euro di marzo per gli autonomi anche in aprile e maggio, alzando l’importo a 800 euro. Istituire il Rem, un Reddito di emergenza o di ultima istanza per chi è senza lavoro e senza protezione: badanti, colf, babysitter, intermittenti, a termine, precari, ex disoccupati al termine della Naspi.

Spero che facciano in fretta. Queste persone, abituate loro ad aiutare gli anziani, devono essere aiutate subito.