Il viaggio di Hans Jonas

Hans Jonas era un giovane dotto. Un ebreo tedesco. Studiava gli gnostici. Prendeva il tè con Heidegger. Ma capì presto che l’epoca non gli avrebbe consentito di essere “solo” quello. Appena dopo la presa del potere di Hitler fuggì dalla Germania. Poi il filo spinato di anni nazisti, fascisti, interminabili, nauseabondi, psicotici ed è il 1945 e Hans Jonas torna a casa, a Mönchengladbach in Germania. Manca da più di dieci anni. Nel ’44 si è arruolato nelle Brigate ebraiche, esercito britannico, è da lì è iniziato il suo Bellum Judaicum, il viaggio di ritorno.

La campagna d’Africa, lo sbarco in Sicilia, l’Italia intera fino alle Alpi, l’Austria, la Germania. La battaglia vinta da Jonas contro il nazismo sta tutta in questo viaggio, dove l’ebreo tedesco in divisa riconquista il terreno perduto e le truppe di Hitler si ritirano come un virus debellato dalla cura.

Ma la malattia era mortale e quando Jonas bussa alla porta della casa dov’era cresciuto insieme al padre, alla madre e al fratello, non trova più nulla. Nuova gente ha occupato la casa approfittando dell’esproprio nazista. Quello che gli apparteneva, gli è stato tolto. Allora cerca sua madre, ma anche lei gli è stata tolta: ad Auschwitz. Allora cerca il suo editore, ma si è rifugiato in qualche cantina e non pubblica più da anni.

Jonas è rimpatriato in un deserto, in una patria azzerata. Basta questo per dire un’altra volta addio. Trascorrerà il resto della sua vita in Israele e negli Stati Uniti. Tornerà in Germania solo per conferenze o viaggi di studio. Ci spiegherà che dobbiamo darci un’etica biologica, ci insegnerà il Principio di Responsabilità verso il mondo in cui viviamo, che ci contiene e nutre. Ci insegnerà la cultura del rispetto per la vita; non dell’odio o della vendetta. Eppure aveva tutti i diritti all’odio e alla vendetta. L’intera esistenza di Hans Jonas, per me, è un atto di eroismo.

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Le Memorie di Hans Jonas (Erinnerungen, 2004) raccolte da Rachel Salamander, sono state pubblicate in Italia dal Melangolo nel 2008. Sono una lettura emozionante e offrono ritratti indimenticabili di Hannah Arendt e Martin Heidegger.

Brecht-Haus

L’ultima casa di Bertolt Brecht sta nel centro di Berlino, in una via il cui nome è Chausseestrasse e si pronuncia più o meno così: Sciossée schtrasse. Questa casa è anche un museo, ma Brecht – che l’abitò dal 1953 al 1956 insieme alla moglie, l’attrice Helene Weigel – forse non immaginava che sarebbe diventata un museo. O forse sì, visto che ogni gesto e azione dei Grandi è sempre in funzione del ricordo in eterno.
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Potsdamer Platz, the Platz to die

Foto di Davide Orecchio

“Berlino – recita il motto – è un cantiere a cielo aperto. Vacci e troverai sempre una gru.” Per circondare di polpa queste parole che sembrano frasi fatte o lette su una rivista, mi trovo costretto a ricorrere all’ingannevole strumento del ricordo personale. E pesco due immagini di uno stesso luogo nel corso del tempo, a Berlino:

Potsdamer Platz, un giorno d’agosto del 1990.
Un giorno d’agosto del 1997, a Potsdamer Platz.

Un Berlinwunder: a metterle una accanto all’altra su di un tavolo senza sapere che rappresentano lo stesso luogo ma in tempi diversi, si potrebbe pensare che solo una è stata percepita sulla Terra, mentre quella che segue appartiene ad altri pianeti.  Continua a leggere “Potsdamer Platz, the Platz to die”