Internazionale (27 ottobre 2017) pubblica una splendida recensione di Goffredo Fofi a Mio padre la rivoluzione. La riporto qui di seguito:
«A cent’anni dalla rivoluzione d’ottobre, ecco un libro che scava nella sua storia, nella sua necessità e nelle sue aberrazioni. Orecchio (autore di Città distrutte e Stati di grazia) applica il suo talento e la sua ostinazione di letterato esigente a una storia che oggi ci sembra lontanissima, dopo la nuova mutazione del mondo, ma che ha tragicamente segnato il novecento.
La racconta in dodici capitoli autonomi, attraverso le sue figure centrali, Lenin, Trockij, Stalin, i loro oppositori, le loro ascese e cadute, le loro vittime. La rivoluzione ha divorato se stessa e nonostante le conquiste materiali non ha lasciato un mondo migliore, ma Orecchio immagina che le cose siano andate diversamente. È un nipotino di Borges, che ricostruisce il vero e il veritiero e intreccia mirabilmente (straordinario per perizia il racconto in cui Hitler e Stalin sono uno e due, personaggio bifronte). E arriva al giudizio meglio di uno storico, accorto e accorato, affascinato e disgustato dal gioco del potere, dalla storia. È Rosa Luxemburg a tirare le fila come se la rivoluzione avesse vinto e il sogno dell’uomo nuovo, del mondo nuovo si fosse realizzato.
C’è molto da riflettere da questo eccellente risultato, un “romanzo storico” che colloca Orecchio tra i pochi grandi scrittori di oggi, quelli che oltre a saper scrivere (a fare letteratura) sanno anche studiare, ragionare, capire, confrontarsi, inventare».

(foto di minimum fax, Rossella Innocentini)