Il futuro delle città è la sicura decadenza

«Abd al-Rahman I fece di Cordova la sede di un regno precario e minore, e non seppe di aver fondato la capitale dell’Occidente, di un mondo aspro e rurale in cui le strade erano insicure e le città tetri villaggi fortificati contro le invasioni. A Cordova Abd al-Rahman si salva e si purifica, si fa re e forse tiranno e fonda una dinastia ribelle che durerà circa trecento anni: grazie a lui e alla sua stirpe, Cordova, in contraccambio di ciò che gli ha dato, riceve una gloria che sarà ricordata ed esaltata in capo a un millennio. Il suo splendore e il suo nome sopravviveranno fino a questo stesso momento in cui scrivo, e le mie parole, questo libro, sono conseguenza di azioni non ancora estinte, braci di un fuoco che il tempo non ha potuto spegnere. L’eco di quei giorni non si è cancellata. Rimane nei libri, nella fantasia, nella memoria, nelle rovine. Viaggiatori morti mille anni or sono continuano a portare notizie di quella città che cerchiamo nella città di oggi, viva moneta che mai tornerà a ripetersi. Nella vita delle città, come in quella degli uomini, vi sono alcune ore di pienezza sepolte poi sotto la cenere. La Cordova degli omayyadi prosperò per poi perire, si fece grande e potente per essere poi desolata. Ma già Ibn Khaldun scrisse che il futuro delle città e delle dinastie è la sicura decadenza».

Antonio Muñoz Molina, La città dei califfi. Cordova tra favola e realtà, Feltrinelli, Milano 1996, pp. 48-49 (traduz. di Gianni Guadalupi).

Due viaggi, due scrittori. al-Muqaddasi, Binyamin da Tudela

Nei dintorni di Córdoba

al-Muqaddasi

Non c’è stata biblioteca di re che io non abbia frequentata, non opere di una data setta che non abbia sfogliate, non credenze di una gente che non abbia conosciute; non gente devota con cui non mi sia mescolato, non sacri oratori cui non abbia assistito, sì da venire a capo di quanto desideravo su questo argomento. Con trentasei diversi nomi sono stato chiamato e apostrofato: gerosolimitano, palestinese, egiziano, maghrebino, khorasanio, faqìh, sufi, santo, devoto, asceta, viaggiatore, cartolaio, ecc. ecc., per i diversi paesi in cui mi son fermato, e i diversi luoghi che ho visitato. Non c’è avventura che capiti a un viaggiatore che io non abbia largamente provata, fuorché il mendicare e il commettere grave peccato: ho fatto il faqìh e il maestro di scuola, l’asceta e il devoto, ho dato lezioni di diritto e di belle lettere, ho predicato sui pulpiti, ho fatto il muèzzin sui minareti, l’imàm nelle moschee, il concionatore nelle moschee cattedrali; ho frequentato le scuole, fatta propaganda nelle assemblee, parlato nei salotti; ho mangiato la «harisa» con i sufi, la zuppa con i cenobiti, la polenta coi marinai; sono stato cacciato via la notte dalle moschee, ho percorso le steppe, errato nei deserti. Continua a leggere “Due viaggi, due scrittori. al-Muqaddasi, Binyamin da Tudela”

Gli spagnoli encantados dalla biografia

Un bell’articolo del País. Dove si parla del genere biografico, della repulsione degli spagnoli per tale genere fino a oggi, della reticenza degli spagnoli per il vissuto privato, e delle traversie di Ian Gibson:

Según Ian Gibson, nacionalizado español, una sociedad necesita dos cosas para que el género biográfico pueda asentarse: estabilidad y curiosidad. Si hay 25 biografías distintas de Lord Byron, dice, es porque en los países anglosajones se ha dado un ambiente político y social que favorecía la investigación y la apertura. En España “ha primado la amnesia y la falta de interés real por los demás. Es un país que no escucha; todo el mundo quiere hablar, por eso hay tanto ruido”, dice en el fragor de tazas y cucharillas. “¿Qué español dedica cinco años a otro español?”. Así, el trabajo que no hicieron los españoles sobre sí mismos durante décadas lo tuvieron que hacer los extranjeros, dando lugar a ese fenómeno único en el mundo que es el hispanismo.