DeLillo, Antonioni

Ha una voce gutturale, liquida, roca. Racconta Deserto rosso di Antonioni. Dice i colori del film. Rosso, amaranto, rosa, viola, nero, grigio. Descrive persone, paesaggi. Le parole s’impastano nel catarro, sembrano fragili quando scorrono su per la fiala del collo. Nel crogiolo c’è un’ebollizione. I due antipodi sono il coagularsi e lo squagliarsi: delle parole. Ma riesce sempre. S’inceppa solo due volte. Prosegue. Il testo è una chimica. A volte dimentica la necessità del microfono. Ora siede, risponde alla domanda, scorda il microfono sulla coscia, tira su il microfono con un gesto geometrico, per parlare ti serve il microfono, lo tira su come una stampella o una protesi inutile dopo la guarigione del corpo, il corpo del più grande scrittore vivente pensa che non gli occorra un microfono, forse neppure una voce, la voce prova a nascondersi dentro l’acustica non amplificata, il corpo trascura il microfono, ma per parlare oggi ti serve un microfono, ma per scrivere no. «Antonioni, Antonioni, Antonioni…»

Roma, 22 ottobre 2016, Auditorium, tra pomeriggio e sera.

delillo

Sul film «L’amministratore»

Nel documentario L’amministratore di Vincenzo Marra (Italia, 2013, 84 minuti) sono tutti vecchi. Si va dai 60 anni in su. [ Salvo rare eccezioni. Un immigrato che balla. La figlia. Un muratore. ] Le case mostrano crepe, infiltrazioni d’acqua. Gli attici crollano sui piani inferiori. Il massetto dei bassi non tiene, tra il fango e l’asfalto cresce un binario per topi. La città cade a pezzi. L’amministratore prova a rammendarla. Ammaccato e cinico anche lui.

Donne sessantenni vivono con madri ottuagenarie. Ci si opera agli occhi e del cancro all’intestino. I fratelli si odiano e impoveriscono e decompongono sui divani borghesi di Posillipo. Il guappo ormai ha 80 anni, non è più guappo. I condòmini pagano quello che possono. «I condòmini fetenti non muoiono mai, muoiono sempre quelli buoni», si lamenta l’amministratore nella battaglia per la manutenzione di Napoli e dell’Italia sfibrata che non può andare a buon fine del tutto. Un poco ci va. Senza l’amministratore e il suo daffare tra gli stabili il crollo sarebbe già presente; invece resta un’ombra imminente, una caduta prossima.

Questo film, che mette in scena per la prima volta un amministratore, racconta la tecnica e l’arte di arrangiare la manutenzione. E mostra il confine tra la manutenzione e la decadenza. E ci avverte che la manutenzione sta scomparendo (affiorano dappertutto i segni della decadenza).

Che tristezza. Eppure si ride guardando il film. L’ironia consente il racconto, lo rende possibile? La grammatica e la sintassi di una storia altrimenti indigesta: è questa ironia che ti permette di guardare senza ascoltare o distogliere l’attenzione? L’ironia è forse l’abito che veste una realtà oscena; è il pudore.

In un brano sono evocati due giovani. Un soffitto è crollato e loro «stavano qui, studiavano, per un pelo non sono morti», racconta all’amministratore l’anziana donna delle pulizie. «Adesso se ne sono andati. Hanno paura. Non vogliono più vivere qui». Infatti la stanza è vuota. C’è anche una terrazza sul Golfo, deserta, con le maioliche inumidite dalla pioggia.

I giovani sono diventati parole, ricordo della donna anziana. Non è possibile neppure mostrarli, vederli.

Ladri di biciclette, Vittorio De Sica ringrazia Alfredo Orecchio per la sua recensione (1948)

de sica

 

24 novembre 1948. Vittorio De Sica ringrazia mio padre Alfredo Orecchio (alias Pietro Migliorisi) per l’articolo su Ladri di biciclette uscito sul Messaggero. Seguirà un altro biglietto di ringraziamento nel 1949. Un messaggio che sembra trasmettere riconoscenza genuina. Ma stupirsi sarebbe anacronistico. Oggi De Sica e il suo film appartengono alla storia della cultura mondiale. In quell’autunno del ’48, invece, chissà quanti dubbi, quante paure e incertezze nel presentare un film così radicalmente diverso e innovativo. La recensione di mio padre – immagino – avrà contribuito ad alimentare la confidenza di De Sica nella sua arte e nel cammino intrapreso.  Continua a leggere “Ladri di biciclette, Vittorio De Sica ringrazia Alfredo Orecchio per la sua recensione (1948)”