1944, viaggio in Sicilia

Pagina99 in edicola questa settimana (2 gennaio 2016) pubblica un mio racconto. È un viaggio in Sicilia, nel 1944. Tra gli americani, i separatisti, i latifondisti, i morti di fame e la mafia: il viaggiatore era mio padre. Non aveva ancora trent’anni. Tornava nella sua isola per raccontarla e lo fece in un libro che è Febbre in Sicilia (1945). Sono tornato in Sicilia anche io con questo racconto del racconto di un viaggio. La storia s’intitola “Il mondo è un’arancia coi vermi dentro”. Se ci leggerete: buona lettura.

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[ In questo momento sono a Palermo. Dalla finestra vedo un vicolo:

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Ora uscirò a cercare il giornale, per vedere com’è venuto sulla carta il racconto. ]

Come spiego nel pezzo – uscito nella sezione Fuoribordo curata da Alessandro Leogrande, che ringrazio per avermi invitato e ospitato in queste pagine – non è questione di ricordare il caro estinto ma proprio di conoscerlo. Far nascere un rapporto gnoseologico con l’uomo scomparso e il suo tempo. Anche attraverso quello che di scritto ha lasciato. Studiare il padre: ecco la risposta alla questione del padre. Andare a conoscere l’uomo lontano. E poi riscriverlo, inventarlo un poco ancora.

Alfredo Orecchio, "Febbre in Sicilia", Roma 1945.
Alfredo Orecchio, “Febbre in Sicilia”, Roma 1945.

E’ un processo. L’ho iniziato con un ritratto di Pietro Migliorisi (alter ego del mio anzianissimo padre – ci separavano 54 anni) in Città distrutte. In quel libro scrivevo:

Quando racconterò Pietro Migliorisi? Me lo domando da molto mentre accumulo materiali, fonti edite e inedite, primarie, secondarie e annuso l’epoca come se un archivio ne custodisse gli aromi. Il passato è solo carta? Oggetti impolverati? Bombe inesplose? Camposanti? L’ho osato chiedere a Guillermo Viera durante un seminario tenuto a Roma dall’insigne storico argentino la cui risposta avrei dovuto già conoscere e per questo segue nell’inciso – la tomba di un mondo che ospita uomini e donne, una comunità: cerca i loro risvegli, le domeniche al parco, i sopori –. Ma le questioni non sono finite e allora: è possibile che siano tutti spariti? E tra loro – una nebbia, un sottomarino incagliato – come faccio ad acciuffare Migliorisi? Come sentire cos’erano le sue spalle da giovane, se aveva i capelli soffici e quanto fossero neri, e sapere se piaceva alle donne, se il padre l’amò, se la madre l’amò?

Poi chiedevo pazienza, tempo (a me stesso): prima o poi, promettevo, racconterò appieno questa storia, ma ora bisognava accontentarsi di frammenti, di episodi appunto.

Processo Montesi

E’ un processo. Per cui mi rimetto al lavoro. Credo non sia possibile rinviarlo oltre, per me. E’ uno studio/scrittura che non potevo affrontare da giovane, che non potrei affrontare da vecchio. Il tempo giusto è ora. Verrà un’immersione in carte di archivio, libri, manoscritti. La mia idea è, attraverso la riscrittura e invenzione della vita di Migliorisi, di andare a conoscere e riscrivere un secolo che si allontana da noi.

Perché la storia dobbiamo sempre riscriverla, sennò la dimentichiamo.

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Tavola e illustrazioni sono di Koen Ivens.

Il post del desiderio

Ho pubblicato su Nazione Indiana un articolo per il Primo maggio. Dove torno a parlare dei viaggi in Molise di alcuni anni fa tra contadini, braccianti, ottuagenari, centenari – i testimoni; custodi di scioperi alla rovescia, occupazioni di feudi e latifondi, scaramucce coi fascisti -, e di quello che mi sta capitando di recente.

Un ragionamento di Andrea Cortellessa su «Stati di grazia»

La storia da districare è il titolo di una nota di lettura che Andrea Cortellessa dedica a Stati di grazia sul sito Galatea European Magazine (www.galatea.ch)

«… Orecchio prosegue la propria ricerca, innalzandone impavido il grado di virtuosismo e, insieme, l’ambizione etica. Anche qui brilla la sua lingua – sensualmente aderente alle più minute vibrazioni corporee e affettive – e anche qui i singoli capitoli (cui si aggiunge un’appendice pseudo-erudita che orienta altresì il lettore, però, nella altrimenti labirintica struttura della narrazione) potrebbero leggersi come racconti a sé stanti, se invece una serie di snodi ed echi a distanza, di talora persino ‘romanzesca’ capziosità, non legassero i destini dei tantissimi personaggi: in quello che, appunto, altro non è che un romanzo».

Dello stesso autore segnalo una “Stazione di posta” sul sito Premio Gorky, dedicata a Nanni Balestrini, Francesco Pecoraro e a Città distrutte:

«E, come in tanta altra non-fiction contemporanea, campo d’azione privilegiato di Orecchio – storico per formazione accademica ma, direi, soprattutto per “missione”: vocazione affettiva e tensione morale – è la storia del Novecento. Una storia “calda” di passioni viscerali: una storia “passata contropelo”, per dirla con Walter Benjamin, col soffermarsi di preferenza su figure di sconfitti, di preteriti, di sommersi. Una storia – lo accennavo all’inizio – che non è ancora, propriamente, del tutto storia: perché mantiene con chi scrive – e con noi che leggiamo – legami emotivamente troppo forti perché le si possa applicare il distacco che agli storici perterrebbe».