«Hai sentito il terremoto»

In Italia 25mila persone, attraverso un sito web, descrivono terremoti. Compilano questionari. Alcune di loro rendicontano la paura, le sensazioni che hanno provato, l’intensità delle oscillazioni sismiche, gli effetti sulle case che abitano. I racconti si sedimentano in un archivio digitale che va oltre la sismologia, si fa memoria e fonte dei sismi.

Pochi mesi fa, dopo una presentazione in una libreria, mi si accostò un signore e mi disse:

«Sa, io sono un geologo, e insieme ad altri ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia mi occupo di un sito: Hai sentito il terremoto».

 

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Gli chiesi di spiegarmi meglio. Cos’era questo sito, e cos’aveva di interessante?

«Raccogliamo testimonianze e informazioni sui terremoti che avvengono. Ci scrivono migliaia di persone. Da qualche tempo abbiamo aperto un’area di compilazione libera. E le persone si sono messe a raccontare».

Il geologo (che si chiama Valerio De Rubeis) mi invitò a leggere quei testi. Andai a trovarlo. Lui e i suoi colleghi mi spiegarono il lavoro, la ricerca. Appresi le storie e ora le racconto su pagina99 in edicola questa settimana (da sabato 16 a venerdì 22 gennaio).

1944, viaggio in Sicilia

Pagina99 in edicola questa settimana (2 gennaio 2016) pubblica un mio racconto. È un viaggio in Sicilia, nel 1944. Tra gli americani, i separatisti, i latifondisti, i morti di fame e la mafia: il viaggiatore era mio padre. Non aveva ancora trent’anni. Tornava nella sua isola per raccontarla e lo fece in un libro che è Febbre in Sicilia (1945). Sono tornato in Sicilia anche io con questo racconto del racconto di un viaggio. La storia s’intitola “Il mondo è un’arancia coi vermi dentro”. Se ci leggerete: buona lettura.

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[ In questo momento sono a Palermo. Dalla finestra vedo un vicolo:

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Ora uscirò a cercare il giornale, per vedere com’è venuto sulla carta il racconto. ]

Come spiego nel pezzo – uscito nella sezione Fuoribordo curata da Alessandro Leogrande, che ringrazio per avermi invitato e ospitato in queste pagine – non è questione di ricordare il caro estinto ma proprio di conoscerlo. Far nascere un rapporto gnoseologico con l’uomo scomparso e il suo tempo. Anche attraverso quello che di scritto ha lasciato. Studiare il padre: ecco la risposta alla questione del padre. Andare a conoscere l’uomo lontano. E poi riscriverlo, inventarlo un poco ancora.

Alfredo Orecchio, "Febbre in Sicilia", Roma 1945.
Alfredo Orecchio, “Febbre in Sicilia”, Roma 1945.

E’ un processo. L’ho iniziato con un ritratto di Pietro Migliorisi (alter ego del mio anzianissimo padre – ci separavano 54 anni) in Città distrutte. In quel libro scrivevo:

Quando racconterò Pietro Migliorisi? Me lo domando da molto mentre accumulo materiali, fonti edite e inedite, primarie, secondarie e annuso l’epoca come se un archivio ne custodisse gli aromi. Il passato è solo carta? Oggetti impolverati? Bombe inesplose? Camposanti? L’ho osato chiedere a Guillermo Viera durante un seminario tenuto a Roma dall’insigne storico argentino la cui risposta avrei dovuto già conoscere e per questo segue nell’inciso – la tomba di un mondo che ospita uomini e donne, una comunità: cerca i loro risvegli, le domeniche al parco, i sopori –. Ma le questioni non sono finite e allora: è possibile che siano tutti spariti? E tra loro – una nebbia, un sottomarino incagliato – come faccio ad acciuffare Migliorisi? Come sentire cos’erano le sue spalle da giovane, se aveva i capelli soffici e quanto fossero neri, e sapere se piaceva alle donne, se il padre l’amò, se la madre l’amò?

Poi chiedevo pazienza, tempo (a me stesso): prima o poi, promettevo, racconterò appieno questa storia, ma ora bisognava accontentarsi di frammenti, di episodi appunto.

Processo Montesi

E’ un processo. Per cui mi rimetto al lavoro. Credo non sia possibile rinviarlo oltre, per me. E’ uno studio/scrittura che non potevo affrontare da giovane, che non potrei affrontare da vecchio. Il tempo giusto è ora. Verrà un’immersione in carte di archivio, libri, manoscritti. La mia idea è, attraverso la riscrittura e invenzione della vita di Migliorisi, di andare a conoscere e riscrivere un secolo che si allontana da noi.

Perché la storia dobbiamo sempre riscriverla, sennò la dimentichiamo.

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Tavola e illustrazioni sono di Koen Ivens.

Grande guerra, musei e archivi digitali

Ho pubblicato su Nazione Indiana una Piccola guida non esauriente alle mostre e iniziative di commemorazione della Prima guerra mondiale. Tra esperienza e ricostruzione, finzione e didattica. L’illusione di rivivere. L’ossessione del ricordareUno storify dove ho aggiornato e rivisitato un articolo uscito su Pagina99 a fine agosto 2014. Le mostre in corso sul Centenario della WWI. Londra, Berlino, Francia, Belgio… Gli allestimenti nei musei italiani, le iniziative programmate (da qui al 2018) dal governo italiano. I link utili. Tutto, o molto, ruota attorno a esperienze sensoriali/digitali e memoria. Rivivere “fittiziamente” (ossia grazie a installazioni e multimedia) il passato per farsene un’idea: funzionerà? Un altro aspetto riguarda la proliferazione di siti, portali, archivi online di memorie e reperti. Persone molto più edotte di me mi spiegano che ricerca e riflessione sulla conservazione digitale, i suoi metodi, l’“aspettativa di vita” dei supporti e via dicendo sono avanzate e consapevoli. Però mi colpisce, in questa digitalizzazione della memoria (peraltro affascinante, e “democraticamente” a disposizione dei navigatori), uno slittamento di postura: siamo quasi del tutto nella sincronia, in un presente illusoriamente durevole; mentre mi sembra che stiamo perdendo la funzione diacronica della trasmissione, ci interroghiamo poco (o meno) su quanto resterà di questa mole di reperti intangibili. Forse mi sbaglio, ma a me vengono in mente i banchi di memoria ne “La città e le stelle” di Arthur C.Clarke: lì, nei computer, era archiviata la storia plurisecolare della città; ma l’umanità era del tutto smemorata e congetturava falsi miti sul passato. Nei memory banks risiedeva una memoria non consultabile, occulta, inutile. Non vorrei che in futuro tutto questo fosse destinato all’avaria.