Omelette alle erbe («Sostiene Pereira»)

Pereira, redattore della terza pagina di un piccolo giornale di Lisbona, mangia soprattutto frittate: quelle che gli cucina la portiera e quelle che ordina al Cafè Orquídea dove passa molto del suo tempo. Questo lui vorrebbe dire al dottor Cardoso, il medico della clinica talassoterapica di Parede che lo interroga sulla sua alimentazione. «Ma provò vergogna e rispose diversamente. Alimentazione variata, disse, pesce, carne, verdura, sono abbastanza parco nel cibo e mi nutro in maniera razionale. E la sua pinguedine quando ha cominciato a manifestarsi?, chiese il dottor Cardoso.»

La sera, a cena, Cardoso gli suggerisce di prendere pesce arrosto o bollito ma Pereira insiste per la sogliola alla mugnaia con carote al burro. D’accordo, concede il dottore, le prendo anch’io. Ed è gustando la sogliola e poi una macedonia di frutta che Cardoso espone a Pereira la sua teoria della confederazione delle anime e dell’Io che non è uno ma molteplice, con egemonie di volta in volta diverse. Invece al Cafè Orquídea di Lisbona, dove fra l’altro Pereira fissa gli appuntamenti a Monteiro Rossi e alla sua fidanzata Marta, il menú è obbligatorio. «Cosa vuole mangiare? Qui servono solo omelettes alle erbe aromatiche e insalate di pesce. Prenderei due omelettes alle erbe aromatiche, disse Monteiro Rossi, scusi se le sembro sfacciato, ma oggi ho saltato il pranzo. Pereira ordinò tre omelettes alle erbe aromatiche e poi disse: e ora mi racconti i suoi problemi.»

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OMELETTE ALLE ERBE, Portogallo 1938

Ingredienti
2 uova a porzione; sale; pepe; prezzemolo; cerfoglio; dragoncello; erba cipollina; burro.
Preparazione
Tritare finemente le erbe (complessivamente debbono essere un cucchiaio a porzione). Unire metà delle erbe alle uova sbattute nel piatto, insieme con sale e pepe, e cucinare l’omelette: far sfrigolare il burro in padella, gettarvi le uova sbattute, cuocere sollevando i bordi della frittata e facendo scivolare il liquido sotto. A fine cottura, inclinare la padella, facendo dunque scivolare l’omelette, e poi con un coltello, rapidamente, ripiegare la frittata verso il centro. Prendere l’altra metà della erbe, mescolarla con burro fuso e versarla sull’omelette già nel piatto.
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(Da Oretta BongarzoniPranzi d’autore, Editori Riuniti 1994). Da un po’ di tempo pubblico sul blog le ricette tratte da un vecchio libro di mia madre. Chi vuol sapere perché lo sto facendopuò leggere qui.)


AGGIORNAMENTO, 18/11/2022

Torna in libreria Pranzi d’autore, grazie a minimum fax. Una nuova edizione delle ricette letterarie di Oretta Bongarzoni. Di Pranzi d’autore ho scritto così tanto, su questo sito, che non riesco ad aggiungere altro. Sono felice di avere trovato un editore che lo riproponesse. Voglio solo festeggiare.


Christmas Pudding (James Joyce, «I morti»)

Il ballo annuale delle signorine Morkan – Kate, Julia e Mary Jane – si svolge come sempre nel periodo natalizio. Come sempre, riunisce nell’appartamento dublinese di Usher Island: parenti, amici, giovani studentesse di canto (Julia), di pianoforte (Mary Jane). Come sempre, a cena sarà il nipote Gabriel Conroy, che è lì con sua moglie Gretta, a tagliare l’oca. Gretta taglierà il pudding.

[…]

Il pudding è in un vassoio sul pianoforte.

[…]

Il ballo, che si ripete ormai da trent’anni e che è protagonista del bellissimo racconto I morti di Joyce, si apre con un brano suonato al pianoforte da Mary Jane, e con una canzone eseguita da Julia. Ancora una volta Freddy Malins ha bevuto troppo. Ancora una volta tutti si scambiano auguri e notizie di vita quotidiana. Ancora una volta, ospiti e padrone di casa vorrebbero essere molto allegri.

[…]

Il pudding, che arriva in tavola mentre si discute di opera lirica, è un successo.

[…]

Sul finire del pasto, discorsi di ringraziamento e di affetto rivolti alle padrone di casa. Commozione. Commiati. E poi, durante la notte, il pianto a dirotto di Gretta improvvisamente turbata dal ricordo di un amore adolescenziale e di quel ragazzo che morì un po’ per causa sua.

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LA RICETTA

CHRISTMAS PUDDING, Irlanda 1912

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(Da Oretta Bongarzoni, Pranzi d’autore, Editori Riuniti 1994). Da un po’ di tempo pubblico sul blog le ricette tratte da un vecchio libro di mia madre. Chi vuol sapere perché lo sto facendo, può leggere qui.


AGGIORNAMENTO, 18/11/2022

Torna in libreria Pranzi d’autore, grazie a minimum fax. Una nuova edizione delle ricette letterarie di Oretta Bongarzoni. Di Pranzi d’autore ho scritto così tanto, su questo sito, che non riesco ad aggiungere altro. Sono felice di avere trovato un editore che lo riproponesse. Voglio solo festeggiare.


Salame di spinaci (Elias Canetti, «La lingua salvata»)

È nella prima parte dell’autobiografia, quella dedicata all’infanzia trascorsa in Bulgaria, sulle rive del Danubio, che Elias Canetti ricorda le festività ebraiche, soprattutto Purim e Pessach, con i loro riti, la loro allegria, la loro austerità e i loro cibi stabiliti. Purim «era una festa che commemorava gioiosamente la liberazione degli ebrei da Hamàn, il malvagio persecutore […] I grandi si travestivano e uscivano, e dalla strada si udiva un gran vociare; in casa comparivano le maschere, io non sapevo chi fossero, era proprio come nelle fiabe».

La festa di Pessach (la Pasqua) è preceduta da giorni e giorni di grandi pulizie e preparativi. «Si veniva continuamente messi in disparte o mandati via, e anche in cucina, dove si preparavano cose interessantissime, si poteva tutt’al più gettare una rapida occhiata. La cosa che mi piaceva erano le uova scure, fatte bollire per intere giornate nel caffè». Poi la cena con le preghiere, il racconto dell’esodo dall’Egitto, le domande rivolte da più giovane della famiglia sul significato dei preparativi, «il pane non lievitato, le erbe amare e tutte le altre cose inconsuete che si trovano sulla tavola».
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SALAME DI SPINACI, Bulgaria 1910.

Ingredienti
Pasta:
2 uova
200 grammi di farina
Ripieno:
un chilo di spinaci
150 grammi di burro
300 grammi di ricotta
100 grammi di formaggio grattugiato
mezzo cucchiaino di noce moscata grattugiata
sale, pepe

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I pranzi d’autore di mia madre

A chi possa interessare.

Vent’anni fa, mentre andava morendo, mia madre raccoglieva ricette. Dalle sue carte e dai libri (all’epoca Google non c’era) si spargeva per casa il sapore immaginato – con l’odore – dell’omelette di Tabucchi, del pane all’uvetta di Maupassant, dei krapfen di E.M. Forster. Stanava pietanze da romanzi, memoriali, racconti. Aveva il progetto, mia madre, di un matrimonio; ossia di sposare letteratura e cucina. Mentre moriva. Mentre il primo medico disse: è il mediàstino, di là passa il respiro, la voce, anche il cibo; è l’autostrada del corpo, signora, dove ora il suo tumore cresce. Mentre il secondo medico disse: non è operabile; non è compatibile con la vita, signora, operare. Mentre il terzo medico disse: è curabile (e sorrideva), forse guaribile (senza sorriso).

Mentre moriva. Raccoglieva ricette. Mia madre. Dalle sue carte, dai libri, dagli scaffali di biblioteche romane. Si votava al libro dei Pranzi d’autore. Lei lo chiamava il mio piccolo libro, il mio libro-sfizio di madre avariata. Sapeva bene che aveva fatto di più. Sapeva di correre il rischio della donna/ricette/cucina/cliché. Ma lei che aveva fatto di più, ora aveva bisogno di questo. Mia madre. Mentre andava morendo. Componeva l’indice dei piatti che non avrebbe mangiato né cucinato.

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